Una frenetica girandola di ‘’auguri’’. Ma conosciamo davvero il senso profondo di questo proclama figlio di una consuetudine talora formalmente fredda? Auguriamocelo…
In questi giorni è un gran rifrullio di ‘’auguri’’, ‘’tanti auguri’’, ‘’auguroni’’.
Un dilagare di cortesi e sorridenti formalità. Irrinunciabili anche per chi si pronuncia in maniera più o meno automatica, senza far sgorgare l’auspicio dal profondo del cuore.
Attenzione, non facciamo d’ogni erba un fascio: molti di questi scambi dialettici prenatalizi rivelano una sincerità d’animo che alle porte del Natale tende ad intensificarsi.
In altri casi (non pochi) siamo inondati da un automatismo ripetitivo.
E’chiaro che, senza abbandonarsi alla facile retorica, sarebbe bello se gli auguri che ci scambiamo nella terza e nella quarta settimana di dicembre si inseguissero, con altrettanta euforia, in tutti i mesi dell’anno.
Si, certo, è meglio esser gentili sotto Natale che mai. E proviamo, magari, a riflettere sul senso profondo di ciò che scandiamo incontrando parenti, amici e conoscenti.
I vari siti di Internet ci ricordano l’etimo di questo gioioso refrain tardo dicembrino. Spiegano: ‘’Il vebo greco è αυ̉ξάνω [auxàno] = “aumentare”, che trova riscontro nel verbo latino augeo / auxi / auctum / augère, dallo stesso significato’’.
Insomma quando rivolgiamo ‘’auguri’’ desideriamo, talora molto sinceramente, che il nostro interlocutore possa ‘aumentare’’.
Cioè aumentare nel benessere fisico e psicologico; nella prosperità, nella salute , nella saldezza dei rapporti umani, nella capacità di vivere convivendo in pace con gli altri. Nel desiderio di voler bene e di essere amati.
Insomma sarebbe bello se ribadendo migliaia di volte la parola ‘’auguri’’ le conferissimo davvero il più profondo dei significati.
A me, confesso, dà un certo fastidio questo ‘gergare’’ che appartiene alla prassi e non sempre alla profondità dei sentimenti.
E’ tutto un rincorrersi di scambi che evolvono, di giorno in giorno, anche fra persone che si sopportano a malapena, ma che sentono di dover onorare una consuetudine.
Insomma l’auspicio è che l’augurio sia consapevole, mirato e sincero.
Augure era un sacerdote dell’antica Roma che aveva il compito di interpretare la volontà degli dèi. La figura era già nota alla cultura etrusca, come dimostra la Tomba degli auguri a Tarquinia.
Ampliamo la riflessione: è proprio impegnativo l’’’augurio’’ che diffondiamo in queste ore anche perché, secondo nobili convinzioni del tempo che fu, incorpora il desiderio di interpretare la volontà del Dio nel quale crediamo.
E allora proviamo a concludere: auguri veri alle persone che voglono bene e, perché no?, anche a quelli che ci amano un po’ meno. Auguri a chi fa politica e a chi la gode o la subisce. Auguri a chi diffonde cultura e a chi desidera migliorare la propria cultura. Auguri a chi ha rispetto del prossimo e al ‘ prossimo’ poco rispettato. Auguri agli emigranti, ai poveri, ai diseredati e a chi ha il compito, cioè il dovere, di accorgersi delle loro fragilità. Auguri alla Chiesa e anche a quelli che talora non la rappresentano al meglio. Ma augurissimi, con una preghiera ad personam in più, a Papa Francesco , con la speranza che il suo essere un conclamato punto di riferimento, suggerisca ad ognuno di noi la voglia non solo di ascoltarlo e di declamarlo, ma anche di interpretarlo secondo le nostre deboli forze-
RINGHIO