4 ANNI DAL TERREMOTO DEL 2016
di Pierluigi Castellani
Il 24 agosto di quattro anni fa il terremoto sconvolse l’appennino centrale del nostro paese mettendo in ginocchio l’economia e la vita sociale di zone importanti per la cultura, il turismo e l’ambiente dell’Italia centrale. Le numerose vittime colpirono intere famiglie radicate da anni in quei territori che rappresentano la memoria storica di buona parte del nostro paese. Certamente le rovine di Amatrice colpiscono ancora l’immaginario collettivo dell’opinione pubblica, e non solo dell’Italia, ma anche gli altri centri abitati più piccoli non sono stati certo risparmiati dalla forza distruttrice del sisma, che poi nell’ottobre di quello stesso anno ha colpito, come ben sappiamo, anche Norcia e tutta la Valnerina. Ad ogni anniversario durante il ricordo delle vittime non manca mai, come avvenuto anche quest’anno, l’amara constatazione che la ricostruzione di quelle zone stenta a decollare. Ci sono macerie ancora non sgomberate e monconi di abitazioni , di chiese e di monumenti che stanno lì a ricordare quanto mai sia urgente non tradire più le aspettative delle popolazioni, che vogliono tornare a vivere nelle loro abitazioni, a riannodare la vita sociale, a riattivare le attività produttive , a continuare a coltivare la secolare memoria di quei centri abitati. Ma perché tutto questo? Perché questa inerzia delle istituzioni? La domanda è più che legittima, le risorse ci sono, perché da tempo stanziate, ma pochissimi sono i cantieri attivati. Spesso sbrigativamente si addita nella burocrazia il colpevole, dimenticando però che le innumerevoli leggi ed ordinanze hanno una ben individuabile origine, che i tanti centri in cui viene polverizzata la potestà di decidere sono facilmente riscontrabili e tutto questo ingarbuglia e rallenta il processo ricostruttivo di una delle più belle zone d’Italia. Spesso si fa il confronto con la ricostruzione del ponte Morandi di Genova anche se, per la verità, sono due fattispecie non paragonabili. Nel caso di Genova si tratta di una singola , significativa ed importante opera, mentre per la ricostruzione si tratta di ridare vita a migliaia e migliaia di strutture abitative, tutte in centri con la loro peculiare fisionomia che indubbiamente va rispettata. Quindi nessuno può negare o minimizzare la complessità dell’opera di ricostruzione eppure qualcosa in più andava tentata. E’ bastata la nomina da parte del governo di un nuovo commissario per la ricostruzione nella determinata persona di Giovanni Legnini per dover riscontrare che qualcosa si sta finalmente muovendo. Le nuove ordinanze del commissario semplificano molto le procedure, riducono gli atti amministrativi, individuano con chiarezza le responsabilità di ogni attore sia istituzionale o privato professionista e stanno dando un po’ di speranza a quelle popolazioni. Per noi umbri non può non essere questa un’occasione per ripensare alla ricostruzione dopo il sisma del 1997 quando con una intensa collaborazione tra Governo, Regione Comuni e Parlamento si dette vita a quel modello di ricostruzione, che ancora viene ricordato come modello Umbria. Forse c’era uno spirito diverso, qualcuno dirà anche una diversa classe dirigente, ma senza voler innescare inutili polemiche viene comunque da chiedersi, perché ancora in Umbria nessuno si è fatto seriamente carico delle esigenze delle zone colpite dal terremoto e soprattutto non dovrebbe comunque essere nella responsabilità della regione,oltre che del governo centrale, quello di assumere un necessario protagonismo, che raccolga idee , proposte e soprattutto cerchi di dare risposte concrete a quei territori?