DIS….CORSIVO. LA PARTENZA
NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Ha scritto Eduardo De Filippo che, contrariamente a quanto molti sono portati a pensare, il ciclo vitale non ha un andamento dalla partenza all’arrivo, ma funziona esattamente da un arrivo su questa terra a una partenza da essa. La nascita non è un punto d’avvio, ma il momento in cui, senza sapere da dove, arriviamo; la morte non è un ritrovarsi al traguardo, ma il momento in cui ognuno di noi è partito, parte e partirà per una destinazione che il grande attore, però, non ha voluto dire quale fosse per lui e, soprattutto, se esistesse per lui. Il suo pensiero al riguardo, invece, aveva un altro modo di completarsi: il punto – o il momento – della partenza devono essere un motivo di riferimento per quanti stanno ancora compiendo il ciclo vitale.
Bisogna stare molto attenti nel guardare le tracce di maturità che ogni vivente, arrivando vicino alla partenza, lascia dietro di sé. E tutti ne lasciamo, da un certo momento in poi della nostra vita, di quelle tracce. Ne lascia l’erudito, ne lascia l’analfabeta, ne lascia l’uomo pietoso, ne lascia l’uomo di malaffare. Non è questione di riprendere la famosa “livella” di quell’altro fantasioso vivente che è stato Totò. La sfumatura è diversa. Anziché piangere troppo su chi è partito, e piangere spesso in maniera farisaica, faremmo cosa più degna per tutti accostandoci al calore residuo che la partenza di un vivente lascia fra di noi, fra chi gli è stato vicino ma anche in direzione di chi sente che non può fare a meno di ascoltare il suono di quell’energia che il propulsore della partenza ha lasciato nel vento. E così, di partenza in partenza, anche se una partenza è avvenuta decenni fa e tende a rapprendersi in una memoria lapidea. Il segno della partenza, l’ultima traccia del vivente che è dovuto partire, dà un riferimento nel tempo, illumina angoli di spazio intorno a noi che altrimenti resterebbero nell’ombra. Non so se, addirittura, potrebbe valere qui una legge di fisica e chimica insieme. Ma, anche se non fosse così, c’è il vento, la sua immaterialità sovrana, i suoi profumi continuamente mescolati per dare fragranze sempre diverse, a portare una traccia dei punti e dei momenti di partenza dei quali la terra è piena e l’universo risuona.
Questo punto di vista mi appassiona e mi entusiasma, soprattutto nella particolarissima giornata segnata sul calendario dei viventi come omaggio a coloro che sono già partiti. Così mi fermo, per oggi, su queste riflessioni e non riesco a mescolarci né la politica né la cultura, salvo l’ovvia avvertenza che anche la partenza del più sconosciuto tra i fratelli viventi alimenta il vento e colora l’aria, di giorno e di notte, mentre ci accaloriamo per l’esistenza e quando mandiamo tutto al diavolo per starcene – politici compresi – un po’ da soli, e non solo in una giornata come questa. In qualche cosa, però, sento che mi differenzio dal punto di vista del grande Eduardo. Egli non ci ha voluto dire quale ordine universale ci comanda di arrivare e quale calamita altrettanto universale ci fa entrare nell’orbita sconosciuta di quando partiamo. Io credo che l’arrivo sia l’anello di una catena che ci deposita sulla terra e che la partenza riannodi e riagganci lo stesso anello: dall’arrivo alla partenza ci muoviamo in linea retta, anche se, come ben sappiamo, fra molti alti e bassi; l’anello della catena che ci lascia arrivare e ci aspetta alla partenza deve compiere, invece, per forza di cose un altro movimento, forse circolare, con forti tratti ascensionali, forse privo di una direzione, forse anelante a un ordine superiore. E credo che anche Eduardo, nonostante non abbia voluto confessarlo, pensasse a qualcosa del genere. Altrimenti perché intuire che partiamo, nonostante la morte, così serenamente?
NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Ha scritto Eduardo De Filippo che, contrariamente a quanto molti sono portati a pensare, il ciclo vitale non ha un andamento dalla partenza all’arrivo, ma funziona esattamente da un arrivo su questa terra a una partenza da essa. La nascita non è un punto d’avvio, ma il momento in cui, senza sapere da dove, arriviamo; la morte non è un ritrovarsi al traguardo, ma il momento in cui ognuno di noi è partito, parte e partirà per una destinazione che il grande attore, però, non ha voluto dire quale fosse pe
r lui e, soprattutto, se esistesse per lui. Il suo pensiero al riguardo, invece, aveva un altro modo di completarsi: il punto – o il momento - della partenza devono essere un motivo di riferimento per quanti stanno ancora compiendo il ciclo vitale.
Bisogna stare molto attenti nel guardare le tracce di maturità che ogni vivente, arrivando vicino alla partenza, lascia dietro di sé. E tutti ne lasciamo, da un certo momento in poi della nostra vita, di quelle tracce. Ne lascia l’erudito, ne lascia l’analfabeta, ne lascia l’uomo pietoso, ne lascia l’uomo di malaffare. Non è questione di riprendere la famosa “livella” di quell’altro fantasioso vivente che è stato Totò. La sfumatura è diversa. Anziché piangere troppo su chi è partito, e piangere spesso in maniera farisaica, faremmo cosa più degna per tutti accostandoci al calore residuo che la partenza di un vivente lascia fra di noi, fra chi gli è stato vicino ma anche in direzione di chi sente che non può fare a meno di ascoltare il suono di quell’energia che il propulsore della partenza ha lasciato nel vento. E così, di partenza in partenza, anche se una partenza è avvenuta decenni fa e tende a rapprendersi in una memoria lapidea. Il segno della partenza, l’ultima traccia del vivente che è dovuto partire, dà un riferimento nel tempo, illumina angoli di spazio intorno a noi che altrimenti resterebbero nell’ombra. Non so se, addirittura, potrebbe valere qui una legge di fisica e chimica insieme. Ma, anche se non fosse così, c’è il vento, la sua immaterialità sovrana, i suoi profumi continuamente mescolati per dare fragranze sempre diverse, a portare una traccia dei punti e dei momenti di partenza dei quali la terra è piena e l’universo risuona.
Questo punto di vista mi appassiona e mi entusiasma, soprattutto nella particolarissima giornata segnata sul calendario dei viventi come omaggio a coloro che sono già partiti. Così mi fermo, per oggi, su queste riflessioni e non riesco a mescolarci né la politica né la cultura, salvo l’ovvia avvertenza che anche la partenza del più sconosciuto tra i fratelli viventi alimenta il vento e colora l’aria, di giorno e di notte, mentre ci accaloriamo per l’esistenza e quando mandiamo tutto al diavolo per starcene – politici compresi – un po’ da soli, e non solo in una giornata come questa. In qualche cosa, però, sento che mi differenzio dal punto di vista del grande Eduardo. Egli non ci ha voluto dire quale ordine universale ci comanda di arrivare e quale calamita altrettanto universale ci fa entrare nell’orbita sconosciuta di quando partiamo. Io credo che l’arrivo sia l’anello di una catena che ci deposita sulla terra e che la partenza riannodi e riagganci lo stesso anello: dall’arrivo alla partenza ci muoviamo in linea retta, anche se, come ben sappiamo, fra molti alti e bassi; l’anello della catena che ci lascia arrivare e ci aspetta alla partenza deve compiere, invece, per forza di cose un altro movimento, forse circolare, con forti tratti ascensionali, forse privo di una direzione, forse anelante a un ordine superiore. E credo che anche Eduardo, nonostante non abbia voluto confessarlo, pensasse a qualcosa del genere. Altrimenti perché intuire che partiamo, nonostante la morte, così serenamente?