DIS…CORSIVO. SPENDING REVIEW MORALE
NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Il problema, si dice, è il tempo. Un uomo politico – senza differenza è il caso di una donna – non ha mai tempo per occuparsi di altro che non sia un incarico amministrativo, legislativo, di partito.
Dal più umile dei consiglieri comunali al Capo dello Stato, per esercitare un qualunque compito legato alla politica non si può, per definizione, avere tempo per tutto ciò che non riguarda, strettamente, l'esercizio di questa attività.
Poi, però, arriva un episodio qualunque e il tempo per altre cose che non siano la politica bisogna trovarlo. L'esempio-limite è quello di Silvio Berlusconi, che ha dovuto scontare in affidamento ai servizi sociali la sua condanna per frode fiscale nel processo sui diritti tv Mediaset.
Se, veramente, l'esperienza abbia insegnato qualcosa all'ex cavaliere solo la sua coscienza potrà saperlo. Ciò che noi conosciamo è una sua dichiarazione nella quale definisce “toccante” l'esperienza vissuta fra i malati di Alzheimer e fa voti di poter continuare a frequentare le persone con cui è stato in contatto alla Sacra Famiglia di Cesano Boscone a partire dal 9 maggio dell'anno scorso.
E qui ricomincia il tempo della politica. Avrà mai più tempo Silvio Berlusconi di intrattenere un rapporto continuo, regolare, metodico con quei sofferenti?
La vita di un uomo politico, specie quella di un leader, indurrebbe a rispondere senz'altro di no. La droga della politica, peraltro mai smessa del tutto dall'ex cavaliere, presto tornerà a fare i suoi effetti sull'animo del personaggio pubblico e lentamente la lezione di umanità vissuta in quest'anno sarà stata dimenticata.
Che cosa insegna, dunque, l'episodio-limite di Berlusconi, al di là del significato politico e della rilevanza penale che lo hanno segnato?
Insegna, credo, un elementare codicillo di quell'umanità e di quella disponibilità verso gli altri che ogni uomo o donna della politica dovrebbe mantenere in fondo al proprio cuore. E che dovrebbe manifestare sottraendosi ai ritmi pressanti e ai rituali barocchi che costruisce intorno alla sua persona, motivato o motivata dal fatto che queste sono le regole, che così fan tutti, che ne va del proprio status symbol, che altrimenti nessuno ti rispetta e ti prende sul serio.
Non deve essere una condanna penale, come quella di Berlusconi, ad insegnare una verità così elementare: tu, politico di periferia o gran commis dello Stato, rinuncia a un po' del culto che chiedi verso la tua persona, sii disponibile ad incontrare chiunque senza interminabili anticamere, non far cadere dall'alto ciò che può essere utile, quotidianamente, agli altri senza privare te delle conoscenze che è giusto che tu conservi ed ampli, non ti pavoneggiare non metterti in mostra cercando chi ti addita, per strada, per la tua notorietà. Risparmia un po' del tuo tempo che se ne va per impegni con gli altri soggetti politici e distribuiscilo in disponibilità a vivere una vita di relazioni sociali al di fuori della casta. Compi la spending review della tua moralità, che è forse cosa ancora più valutabile e apprezzabile del contenimento stesso dei costi della politica.
I “servizi sociali” non possono, non devono essere una condanna. Devono essere la norma, per un politico, e una fonte di gratificazione, per il cittadino elettore. Non devono essere una condizione limite, ma il limite posto all'invadenza del tempo della politica sul resto della personalità di ognuno di noi. Chi meglio di un politico dovrebbe avere il senso della società che ci circonda? Chi però, purtroppo, più facilmente di un politico perde il senso della società se non gli è utile elettoralmente?