FRAGILITA’ DEI PARTITI POSTIDEOLOGICI
di Pierluigi Castellani
La crisi sociale ed economica, che fiacca l’Italia e l’Europa per la guerra in Ucraina, sta facendo emergere tutta la fragilità e la inadeguatezza delle forze politiche italiane nate dopo la fine della cosiddetta prima repubblica. Quando non si hanno basi solide ancorate a culture arricchite ed alimentate dalla storia è facile che eventi, come quello causato dall’invasione russa dell’Ucraina con l’ esplosione , inaspettata ed inattesa, di una guerra nel cuore dell’Europa, mettano in crisi partiti frutto di leadership spesso effimere ed improvvisate. Naturalmente non c’è da rimpiangere vecchie ideologie consumate dalla storia, ma soltanto da constatare che forze politiche , nate sull’onda di un’affannosa riconcorsa a populismi legittimati soltanto da momentanei sondaggi, sono per forza di cose esposte al vento variabile di un’opinione pubblica alimentata dalla fragilità di convenienze ed interessi legati alle difficili condizioni che una pandemia o una guerra condizionano. Anche le vecchie locuzioni di destra e sinistra hanno mutato i significati che potevano avere nel secolo scorso. La destra non si ciba più dei tradizionali valori di estrazione liberale. Ad esempio F.I. non vagheggia più di diventare quel grande partito liberale di massa, che immaginava il suo primo ideologo Giuliano Urbani. Tutta la destra, egemonizzata oramai dalla Meloni e da Salvini, appare sempre più come espressione di interessi corporativi, che stentano a coesistere tra di loro ed ad essere coerenti con il richiamo liberale, che una destra conservatrice dovrebbe sempre coltivare. Come pensare altrimenti dato che la destra oggi si oppone, o rende difficili, riforme di impronta chiaramente liberale come quella della concorrenza o della riforma fiscale? Come poter immaginare che lo stesso atlantismo ed europeismo, che dovrebbero contraddistinguere forze di chiara estrazione liberale, possano coesistere con la deriva nazionalista e sovranista, che mal si addice all’esigenza del libero commercio e dello scambio tra paesi? Anche il volto della sinistra non è più quello tradizionale di una volta. Tranne poche e marginali schegge frutto di una nostalgia del passato, il richiamo alle vecchie tradizioni operaistiche marcatamente sociali non è più rintracciabile nella sinistra di oggi. Anche il PD, ora guidato da Enrico Letta, che pure non rinnega le storie culturali dell’Italia del dopoguerra, non riesce a far rivivere la stagione esaltante del centrosinistra coagulatosi intorno a Romano Prodi. Sembra difficile per il PD scegliere tra il caratterizzarsi come forza politica del politicamente corretto, schiacciata sulla rivendicazione dei diritti con i limiti che tale caratterizzazione implica restringendo la base elettorale o l’essere invece una forza genuinamente popolare portatrice di un progetto di rinnovamento sociale ed economico del paese. Il paese sta cambiando e la fragilità delle forze politiche, frastornate da un non sopito e fuggevole populismo – si pensi ai 5Stelle – o dalla perenne ricerca di effimere leadership – si veda la quotidiana sfida tra la Meloni e Salvini – lasciano solo irrisolti i molti problemi, che il paese sta vivendo anche per una non attenta lettura della crisi della nostra democrazia. Eppure le grandi sfide del momento: la ripresa economica dell’Italia e la scelta di una pur difficile strada per giungere alla pace nell’est dell’Europa, imporrebbero a tutti di irrobustire, prima di tutto, i valori e le culture cui ancorarsi.