LA CRISI DI IDENTITA’ DEL PD
di Pierluigi Castellani
Le improvvise dimissioni da segretario di Nicola Zingaretti colgono il PD in uno dei momenti più delicati della sua storia. E’ infatti da tempo che si ragiona da parte di alcuni commentatori politici ed all’interno del partito della necessità di una definizione più puntuale della identità del PD in un panorama politico che sta profondamento cambiando dopo la crisi del governo Conte 2 e la costituzione del nuovo governo Draghi. Questo frangente è caratterizzato dall’incertezza, che lascia nello sgomento molti militanti soprattutto dopo l’ultimo sondaggio ,reso noto da La 7, che vede il PD perdere 4 punti percentuali tutti a vantaggio di un movimento 5Stelle guidato da Giuseppe Conte. E’ certo che l’attestarsi sul Conte 3 o il voto e aver indicato Conte come il riferimento progressista di un nuovo centrosinistra e il suo federatore vedere poi il federatore alla guida di una forza concorrente con il PD non può non stimolare un ripensamento sulla linea politica e sollecitare una migliore definizione della identità del partito dei democratici. Il chiedere di ragionare su queste cose, e ravvisarne la necessità, potrà aver innervosito la segreteria di Zingaretti anche se l’ipotizzare un congresso dopo la pandemia non può essere considerato lesa maestà in un partito plurale come il PD, che è sintesi di storie e culture diverse ma non confliggenti tra loro. Ora le motivazioni che ha dato Zingaretti alle sue dimissioni rischiano di fornire acqua al mulino degli avversari del PD più che servire ad alimentare un salutare chiarimento interno. C’è infatti da chiedersi se l’area riformista, che ha le sue radici nel socialismo europeo e nella tradizione liberale democratica, dopo anche l’impronta moderata e centrista, immaginata da Luigi Di Maio per i 5Stelle, rischia di diventare appannaggio del movimento di Grillo, oramai sulla strada della trasformazione in vero e proprio partito, prosciugando il bacino elettorale di riferimento del PD con l’aggiunta di un possibile avvicinamento dei 5Stelle, guidati da Conte, all’area di riferimento europea del gruppo dei socialisti e democratici. E’ su questi temi che la crisi di identità, che attraversa il PD, viene in rilievo, se poi, come immaginato da Goffredo Bettini, la rappresentanza del centro moderato la si vorrebbe appaltare ad una forza esterna con cui il PD dovrebbe poi allearsi è evidente che il PD si troverebbe stretto tra due fuochi da una parte i 5 Stelle guidati da Conte e dall’altra un’ area centrista moderata. Al PD quindi non resterebbe che ricongiungersi a LEU e rimanere forza di sinistra, che tradizionalmente in Italia è stata sempre minoritaria. Addio così al centrosinistra senza trattino, addio a un partito plurale a vocazione maggioritaria .Insomma un ritorno indietro che cancella questi tredici anni di vita del PD. E ‘su queste cose che si è chiesto di ragionare, non su altro, prima di immaginare un’alleanza strutturale con i 5Stelle guidati da un Conte, che già si è definito populista ed ha governato senza battere ciglio con i sovranisti della Lega .Ed è evidente che questa discussione non può non partire da una riflessione, anche critica, su quanto è accaduto e su come il PD abbia perso un riferimento stringente con settori della società, già suoi tradizionali serbatoi di voti. ” Quando si dà profumo di solennità – ha detto Marco Bentivogli nella sua intervista a Il Riformista del 4 marzo – a parole che durano un mese, vuol dire che si vuole confondere la tattica con la strategia. Troppi ” non con ” e “abbiamo una sola parola””, un penultimatum dietro l’altro, quando non si verificano mai le cose che si annunciano, la riflessione da fare è seria e profonda…. Non si apre nulla di nuovo se non si ammettono sottovalutazioni ed errori e ci si arrocca”. Ora le dimissioni di Zingaretti, che sembrano irrevocabili, siano un’occasione per costruire qualcosa di nuovo e positivo e non un’ennesima guerra tra fazioni e culture che invece dovrebbero collaborare serenamente in un PD che ritrovi la sua impronta originale.