LA SVOLTA DI LETTA

di Pierluigi Castellani

Sembra che Enrico Letta, nuovo segretario del PD, osi laddove non ha osato neppure Nicola Zingaretti. La patrimoniale per dare una dote ai diciottenni, la riproposizione dello ius soli, il voto ai sedicenni, il ddl Zan, le quote rosa, la difesa ad oltranza del ministro Orlando sul blocco dei licenziamenti, sembrano presumere una supposta svolta a sinistra del PD con gli ammiccamenti, soprattutto del vicesegretario Provenzano, alla Cgil insieme poi alla polemica  con il ripetuto invito alla Lega di uscire dal governo. Sono questi tutti tentativi di gareggiare in protagonismo con Salvini ed il suo essere di lotta e di governo. Naturalmente le prese di posizione di Letta sono tutte condivisibili, senonché manca ad esse un disegno complessivo che le porti ad essere condivise da una larga fetta di elettorato. Ad esempio, la proposta di istituire una tassa di successione per i grandi patrimoni  per aiutare i giovani sarebbe meglio condivisa all’interno di una complessiva riforma fiscale  e meglio compresa quella funzione redistributiva che indubbiamente ha. Siamo ancora all’iniziale dichiarazione :” l’agenda Draghi è la nostra agenda” o c’è un tentativo di correzione di rotta che il PD vuole imporre al governo? Naturalmente non si può pretendere che una forza come il PD partecipando ad un governo di salute pubblica dismetta la propria identità. Ci si vuole interrogare se Enrico Letta stia tentando di riposizionare più a sinistra un partito inizialmente nato di centrosinistra secondo l’intuizione prodiana. Si vogliono forse recuperare i voti a sinistra sfuggiti dopo la parentesi Renzi, ma quel serbatoio elettorale non è così ricco come si vuol far credere. Questa è la cura che potrà schiodare il PD dal 18% dei sondaggi? Qui la questione si fa necessariamente più complessa perché , come è noto, quel mondo del lavoro, che ancora si riconosce sindacalmente nella Cgil, politicamente da tempo si sta astenendo o sta votando a destra soprattutto per la Lega. Ed allora val bene la constatazione, fatta da molti, che la giusta battaglia per i diritti non deve assorbire tutta l’identità del PD, né questo partito può essere percepito dall’opinione pubblica solamente come il partito dei diritti. Per incrementare i voti va esplorato con maggiore attenzione il mondo dell’astensionismo ove si rifugiano i tanti che, non sentendosi rappresentati, vivono nel disincanto dalla politica e  dove si registra una diffusa mobilità elettorale. La ricerca spasmodica di una identità rischia di restringere, non allargare, l’elettorato di riferimento, per questo l’ipotesi di un PD ricco del  pluralismo che lo ha animato dalle origini va nuovamente accreditata e rafforzata. Forse il richiamo a suo tempo esplicitato da una narrazione sociologica e politica che la sinistra non può pensare agli ultimi dimenticando i penultimi va meditato. I penultimi forse sono tutti quelli che non vedendo rappresentate le loro istanze di equità e di lavoro temono di scendere inesorabilmente i gradini della scala sociale, come purtroppo sta avvenendo in questo periodo di pandemia. E’ questo un ragionamento complesso che non può essere fatto in poche righe, ma ci si augura che Enrico Letta non perda la propria caratterizzazione di politico formatosi alla scuola del cattolicesimo democratico sapientemente integrato, a suo tempo, dalla intuizione di Romano Prodi. Letta deve anche riprendere il vero significato della vocazione maggioritaria che voleva rappresentare tutte le istanze del pluralismo culturale da cui il PD è nato. Valga a questo proposito il monito rappresentato dalle parole pronunciate dal senatore Ted Kennedy  nel 1985: ” Il nostro può e deve essere  un partito che ha a cuore le minoranze, ma senza diventare il partito delle minoranze. Prima di ogni cosa, siamo cittadini”.