LE BIZZE DI CONTE

di Pierluigi Castellani

Il campo largo è morto, il campo largo non esiste più. Ipse dixit. Con questo editto Giuseppe Conte ha disfatto la tela intessuta con pazienza da Elly Schlein. Il motivo che il leader dei 5Stelle ha addotto è l’impossibilità per la sua forza politica di stare in un’alleanza insieme a IV di Matteo Renzi, distruggendo così il lavoro fatto nei territori per affrontare le prossime elezioni regionali con un centrosinistra ampio, compatto e credibile. Conte in questo modo ha delegittimato anche i suoi rappresentanti in Liguria, Emilia Romagna ed Umbria, che erano andati avanti con il lavoro con gli altri partiti senza frapporre alcun veto. Sembra però evidente che le ragioni di Conte siano altre. Da una parte la necessità di smarcarsi dall’alleanza con il PD per erodergli  consenso, ma dall’altra c’è ancora l’ambizione di poter essere lui il leader di un’alleanza alternativa alla destra della Meloni,  non avendo ancora elaborato la sua estromissione da Palazzo Chigi e la sua sostituzione con Mario Draghi. A dire il vero però c’è anche dell’altro. C’è che nella partita che Conte ha ingaggiato con Beppe Grillo vuole riprendere alcune caratteristiche del movimento delle origini, quello di un populismo esasperato ai limiti del qualunquismo. C’è insomma ancora quella caratteristica del movimento, più volta affermata ed ora ripresa di una forza né di destra né di sinistra, volta a rappresentare quella zona grigia di elettori insoddisfatti della politica. Ed allora perché dichiararsi progressista, coltivando il pacifismo, il no delle armi all’Ucraina,  dimostrando freddezza nei confronti della Nato?  Credo che la verità risieda nell’origine populista del movimento, un’origine mai del tutto superata, che per mantenere quel consenso non può fare scelte chiaramente identitarie. Per questo nebulosa e tiepida è la posizione dei 5Stelle sul tema dell’emigrazione, e soprattutto  c’è quel rifiuto di scegliere tra Donald Trump e Kamala Harris, che sta non soltanto nell’evidente nostalgia dell’ex premier di essere chiamato “Giuseppi”. ma proprio nella deliberata volontà di non schierarsi, perché schierandosi si sottrarrebbe ad una evidente caratterizzazione, che ovviamente finirebbe per contraddire quel populismo di cui un movimento nato con i vaffa non può fare a meno. Tutto questo pone un serio problema al PD dove alcuni avevano puntato o vorrebbero puntare sull’alleanza organica con i 5stelle,timorosi anche di perdere consensi di quanti vedono nel movimento di Grillo un pezzo della sinistra-sinistra. Certamente lo strappo di Conte rende più difficile costruire un’alternativa al  centrodestra meloniano, che, pure tra evidenti problemi di convivenza tra FI e la Lega sovranista di Salvini, ad ogni appuntamento elettorale si presenta saldamente unito. C’è quindi da riprendere un discorso che investe direttamente il PD, che dovrà chiarire la sua natura di centrosinistra o di sinistra. Essere il perno di una coalizione. che  sconfigga il centrodestra a guida Meloni, impone di cercare di rappresentare tutti quei segmenti di società, che si riconoscono nella democrazia di stampo liberaldemocratico, che nonostante tutto è l’unico antidoto contro quello strisciante autoritarismo, che investe gli stanchi ed i delusi, che rimangono facili prede di nostalgie del passato come purtroppo è stato registrato nelle ultime elezioni in Germania ed Austria.