LE PRIMARIE E IL DESTINO DEL PD

di Pierluigi Castellani

In settimana si concluderà la lunga e defaticante stagione congressuale del PD. Nel frattempo il partito ha incassato un’altra pesante sconfitta alle ultime elezioni regionali perdendo la guida della regione Lazio e non riuscendo neppure ad essere in partita per la conquista della regione Lombardia. Le ragioni sono molte: certamente l’assenza di una guida pienamente legittimata alla segreteria del partito e le divisioni nel campo del centrosinistra che hanno impedito il formarsi di una coalizione che potesse seriamente contrastare il centrodestra oramai a guida della destra di FDI. Stranamente però i media si sono molto interessati al travaglio all’interno del  partito sicuramente riconoscendo a questa forza un ruolo centrale ed essenziale se si vuole costruire nel paese un’alternativa all’esecutivo di Giorgia Meloni. Del resto anche l’ultima consultazione elettorale ha dimostrato che ancora in Italia non è affatto superato il confronto bipolare tra due coalizioni come si ricava anche dallo stesso insufficiente risultato riportato dal Terzo Polo di Calenda e Renzi e dal velleitarismo dei 5Stelle che nel Lazio non si sono voluti aggregare con nessuno. E’ comunque pur vero che la partita all’interno del PD rimane aperta nell’incertezza che questo partito definisca il profilo del suo destino.  L’unica cosa su cui i due contendenti la segreteria, Schlein e Bonaccini , sono d’accordo è nel totale rinnovamento della classe dirigente, addebitando alla vecchia l’ aver perduto molte, anzi troppe,  battaglie. Per il resto le divergenze sono evidenti. La Schlein sembra voler costruire una cosa nuova, forse anche cambiandole nome, in modo che si caratterizzi più esplicitamente di sinistra, mentre Bonaccini vorrebbe ripartire dalle ragioni che fondarono il PD riconoscendo che il partito e figlio dell’Ulivo, cioè dell’ incontro di varie culture della tradizione politica italiana, che antagoniste nel passato hanno dimostrato però di avere cultura di governo fortemente radicata nei principi e nei valori della carta costituzionale. Naturalmente nessun dubbio che tutti e due i contendenti trovino il loro fondamento nei valori della Costituzione, ma è il modo di come si rivolgono alla complessa società italiana che li differenzia. L’una infatti sembra trascurare questa complessità, che si articola in vari segmenti di società non più riconducibili a specifiche classi sociali, l’altro invece riscoprendo il riformismo delle origini e la vocazione maggioritaria impressa dal primo segretario Veltroni sembra più attento a questa complessità rivolgendosi ad un ampio spettro della società, soprattutto a quello del lavoro, dell’impresa ,della questione sociale che tocca vari aspetti delle disuguaglianze  del nostro paese. Appare quindi che chi insiste sulla novità del partito non sia del tutto consapevole del rischio non già di fare una cosa nuova bensì una cosa vecchia del secolo scorso, mentre chi riprende la dinamica dell’incontro tra culture, nato con l’Ulivo di Romano Prodi, vuole soprattutto attuare il disegno complessivo del PD, riportandolo alla sua origine, riconoscendo che quel disegno ,mai completamente attuato, rimane ancora la vera novità della politica italiana. Insomma il nuovo non è attuare il vecchio ma realizzare un partito in cui l’amalgama delle varie culture riformiste non sia la statica riproduzione di contrapposizione tra correnti ma il reciproco arricchimento nell’incontro tra queste culture. Certamente in ogni caso il cammino del PD è ancora lungo, ma il prossimo appuntamento delle elezioni europee dovrà trovare un partito unito, pienamente consapevole del suo essenziale ruolo nella creazione di una vera alternativa al destra- centro di Giorgia Meloni.