PARLAMENTO E STABILITA’ DEL GOVERNO

di Pierluigi Castellani

Il confronto istituzionale si è ormai incentrato sulla necessità di assicurare stabilità all’esecutivo anche se sembra questo confronto trascurare che in una democrazia rappresentativa, come è la nostra, non può essere svilito il ruolo del parlamento, che in seconda istanza rappresenta per delega la volontà popolare. Come conciliare allora il ruolo del parlamento assicurando al contempo stabilità all’esecutivo? Per dare risposta a questa domanda è utile la lettura del recente saggio di Francesco Clementi ” Il Presidente del Consiglio dei Ministri. Mediatore o decisore?”, edito da Il Mulino. Il prof. Clementi ripercorre con dovizia di particolari e di annotazioni il ruolo del Capo di Governo dallo Statuto Albertino alla Costituzione Repubblicana annotando che ” il presidente del Consiglio disegnato dalla Costituzione Repubblicana fu – ed è tuttora -fortemente debitore, nel segno di una chiara continuità dell’interpretazione data a questa figura durante il periodo Statutario”. Infatti lo Statuto di Carlo Alberto  non aveva assegnato al Presidente del Consiglio una preminenza rispetto  al Consiglio dei Ministri anche perché il potere esecutivo rimaneva saldamente nelle mani del Monarca. E’ soltanto l’evoluzione storica che finì per dare a questa figura una preminenza rispetto al Consiglio dei Ministri soprattutto se la persona che rivestiva tale ruolo aveva la capacità di assumere una forte leadership come avvenuto con Camillo Benso di Cavour. E’ così che poi si è giunti al fascismo quando Mussolini prevaricando sullo Statuto ha assunto tutti i poteri nella compiacente disattenzione di Vittorio Emanuele III, tanto da far dire a Clementi che “l’avvento del regime fascista era stato insomma aiutato dal gretto e ceco conservatorismo di molti e dal bieco e sordo populismo di altri “. E’ per questo che i padri costituenti, assediati dal “complesso del tiranno”, non hanno voluto assegnare al Capo del Governo una vera e propria premiership temendo, che il premier di turno potesse subire la suggestione dell’uomo solo al comando. Per questo Clementi, per me forzando un po’ anche l’argomentazione, definisce la figura del Presidente del Consiglio delineata dalla Costituzione, incerta ed evanescente pur riconoscendo, che molto è dovuto alla personalità ed alla forza di chi ricopre tale carica, come avvenuto nel periodo degasperiano. Nelle conclusioni del suo lavoro l’autore giunge al dibattito attuale in cui si pone la necessità del rafforzamento del Capo dell’esecutivo senza dover buttare a mare il ruolo di garanzia rivestito dal Parlamento. Per questo nel libro si afferma un chiaro no alla formula del “sindaco d’Italia”, perché l’elezione diretta del premier “espone più di altre, al rischio di una permanente (e pericolosa) conflittualità politica e sociale e che, in quella polarizzazione, corrode e mina potenzialmente le stesse basi istituzionali della democrazia”. Molte infatti sono altre le soluzioni che possono darsi per accrescere la stabilità del governo come il cancellierato alla tedesca con la sfiducia costruttiva od una legge elettorale che consenta già nella scheda di indicare il nome  del candidato premier, lasciando al Capo dello Stato la sua inderogabile funzione di garanzia ed al Parlamento quella di rappresentare al meglio la volontà popolare. Le scorciatoie come quella del premierato, proposto dalla Meloni, sono pericolose. Non solo infatti si relegherebbe la figura del Capo dello Stato ad un mero ruolo simbolico ,ma si ridurrebbe il Parlamento ad una funzione ancillare rispetto alla figura del premier eletto direttamente dagli elettori, con un forte arretramento rispetto alla democrazia disegnata dalla Costituzione. Infatti va ben chiarito che un regime democratico non è contraddistinto solo dal voto ,ma anche dalla forza di una società civile ricca e viva dove hanno spazio tutti i corpi intermedi e tra questi, certamente il più importante, è il Parlamento  dove possono confrontarsi e comporsi le varie istanze pluraliste senza le quali il paese sarebbe condannato ad una forte contrapposizione, sia politica che sociale, che segnerebbe il tramonto di ogni democrazia come fino ad ora viene intesa.