Gesenu, ecco le motivazioni della sentenza del Tar sull’antimafia
PERUGIA – L’interdittiva antimafia, emessa dall’ex prefetto di Perugia nei confronti di Gesenu, è giusta e deve restare. Il Tribunale amministrativo dell’Umbria, nel respingere il ricorso presentato dalla società che gestisce raccolta e smaltimento dei rifiuti nel territorio perugino, non ha avuto dubbi. Scorrendo le motivazioni della sentenza, depositata il 7 aprile, i giudici hanno smontato punto per tutto i motivi del ricorso, accogliendo completamente le ragioni contenute nel provvedimento prefettizio.
Innanzitutto, viene chiarito subito che l’interdittiva “costituisce una misura preventiva volta a colpire l’azione della criminalità organizzata, precludendole di avere rapporti contrattuali con l’Amministrazione” e “trattandosi di misura a carattere preventivo, essa prescinde dall’accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell’esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con l’Amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia e analizzati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente, la cui valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità, in relazione alla rilevanza dei fatti accertati”.
“Inoltre – viene evidenziato – la misura interdittiva, essendo il potere esercitato dal Prefetto espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto della criminalità organizzata, non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull’esistenza della contiguità dell’impresa con organizzazioni malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell’attività di impresa, ma può essere sorretta da fattori sintomatici ed indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata”.
I giudici ritengono poi “non illogico” per valutare la possibilità di infiltrazione mafiosa “attribuire valore alla presenza di dipendenti, in società operanti nel settore dei rifiuti, con precedenti collegabili alla criminalità organizzata, precedenti non sempre antecedenti al cambio-appalto, ma anche intervenuti in corso di rapporto con la Gesenu”.
Il collegio giudicante, considerando l’interdittiva antimafia, disposta dal Prefetto di Catania, nei confronti del Consorzio Simco, partecipato da Gesenu, ritiene il nesso “non manifestamente illogico, in quanto sotto il profilo dell’infiltrazione non può essere esclusa la rilevanza di una partnership della Gesenu con società ritenute dall’Amministrazione esposte a tentativi di infiltrazione mafiosa, ed in un Comune (quello di Mascalucia) commissariato per infiltrazioni mafiose”.
I giudici sottolineano anche che “le indagini (volte ad accertare interessi mafiosi) sulla Tirrenoambiente S.p.a., con evidenti riflessi sulla gestione della discarica di Mazzarrà Sant’Andrea, evidenziano un collegamento oggettivo con Gesenu, che ne è socia di minoranza, direttamente ed anche a mezzo di un’altra società”.
E ancora: “Indici sintomatici ancora una volta non irragionevoli nella evidenziazione di una potenziale contiguità della Gesenu al rischio di infiltrazione malavitosa sono altresì rinvenibili negli altri elementi indicati nell’interdittiva impugnata, tra cui il procedimento penale relativo alla Viterbo Ambiente S.c. a r.l., ed il procedimento penale dinanzi agli uffici giudiziari di Perugia a carico di amministratori e dirigenti della Gesenu per la gestione della discarica di Pietramelina, e dunque per il trattamento dei rifiuti”.
I giudici osservano anche come “dall’interdittiva prefettizia impugnata sembra permanere il rischio di un condizionamento attuale dell’attività d’impresa, atteso che, seppure talune (od anche la maggiore parte) delle criticità evidenziano una relativa “risalenza nel tempo”, risultano permanenti al momento dell’adozione del provvedimento, come dimostrano, tra l’altro, i rapporti diGesenu con Tirrenoambiente e la presenza di propri dipendenti in Sicilia ‘pregiudicati per mafia’, dei quali è stato accertato il collegamento con sodalizi mafiosi, e dunque sia i legami derivanti da partecipazioni societarie, sia la posizione personale di taluni dipendenti ed amministratori”.
Riguardo la sostituzione degli amministratori, viene anche rilevato che “seppure necessaria, costituisce condizione non sufficiente, in quanto il rischio di infiltrazione criminale non ha riguardato solamente l’assetto gestorio, ma anche quello proprietario”.
Insomma, per il Tar l’interdittiva antimafia deve restare eccome e il ricorso deve essere respinto “per infondatezza dei motivi addotti”. Le spese di giudizio vengono invece compensate tra le parti, visto che “sussistono giusti motivi, connessi alla obiettiva complessità e delicatezza della vicenda dedotta in giudizio”.