Andrea Santarelli, primo folignate alle Olimpiadi: il campione di spada in partenza per Rio. “Ogni assalto è vita o morte, in Brasile voglio una medaglia”
FOLIGNO – La sua passione per la scherma è iniziata a cinque anni, quando rimase affascinato dalle armi utilizzate da suo cugino più grande impegnato in questo sport e chiese alla mamma di “giocare” con sciabole, spade e fioretti. Oggi il folignate Andrea Santarelli (nelle foto di Augusto Bizzi, tratte dalla pagina Facebook ufficiale dell’atleta), di anni ne ha ventitré e la spada è diventata la sua specialità, tanto da portarlo in Brasile a rappresentare l’Italia ai Giochi olimpici che si disputeranno a Rio de Janeiro, dal 6 al 14 agosto prossimo. Un sogno ad occhi aperti, raggiunto dopo anni di duro allenamento, di sacrifici, d’importanti vittorie, come lo strepitoso argento guadagnato qualche giorno fa, ai campionati europei in Polonia, con la nazionale maschile di spada. Un sogno che Santarelli – un talento smisurato, ma soprattutto uno sportivo tutto cuore, mente, sacrificio e umiltà – ha regalato all’intera città, visto che è il primo folignate ad arrivare alle Olimpiadi.
Andrea, che effetto fa sapere che entrerai nella storia di Foligno come primo atleta ai Giochi olimpici?
“Un effetto molto bello, anche perché io sono sempre rimasto nella mia città. Mi sono sempre allenato a Foligno, con il locale club scherma, qui ci sono la mia famiglia, i miei amici, i miei affetti. Qui ho iniziato questo sport, qui ho preparato le mie gare, qui trovo la concentrazione e la carica giuste”.
Come sei arrivato alle Olimpiadi e che sensazione si prova a raggiungere un obiettivo così importante?
“Ho iniziato da piccolo, affascinato dalle spade, con il maestro Carlo Carnevali che poi sarebbe diventato il ct della nazionale, purtroppo scomparso prematuramente dopo aver raggiunto il bronzo e poi l’oro di Matteo Tagliariol alle Olimpiadi di Pechino 2008.
All’inizio era puro divertimento, poi sono arrivati i risultati regionali e nazionali. Ho sempre vinto molto, ma per me la scherma restava un gioco. I miei genitori, totalmente estranei al mondo della scherma (il papà è incisore in una ditta, la mamma lavora come impiegata in Comune, ndr), mi hanno sempre incoraggiato ma senza eccessi o forzature di alcun genere, lasciandomi piena libertà.
A 16 anni ho vissuto la prima esperienza internazionale e sono arrivato terzo al mondiale under 17, poi ho vinto due volte il campionato europeo under 20 e sono stato catapultato tra i grandi. Qui sono iniziate le difficoltà, la paura di non essere abbastanza all’altezza. Ho cominciato a sentire molto la pressione della gara e oggi ogni assalto è la vita o la morte. La svolta c’è stata due anni fa, quando ho chiesto di intensificare gli allenamenti: mi alleno tre volte al giorno, sabato e domenica esclusi. Si tratta di lavoro fisico e mentale, con il maestro Pietro Gnisci che per me è il più grande, il preparatore atletico Gianfranco Palini e il mental coach Marco Formica. Poi sono entrato nella squadra della nazionale ed è arrivata la qualifica olimpica con una gara d’anticipo, un’escalation incredibile, un sogno davvero”.
Qualche giorno fa è arrivato l’argento agli europei: che cosa rappresenta a poche settimane da Rio?
“Questa medaglia mi dà una serenità enorme per le Olimpiadi. L’argento mancava all’Italia dal 1935: da ben 81 anni e l’abbiamo portato a casa noi! E’ un segnale molto significativo e incoraggiante per me, considerando che nella squadra mancava uno dei componenti più importante, Marco Fichera, rimasto in Italia per un infortunio”.
Come ti stai preparando per le Olimpiadi e con quali ambizioni parti?
“In questi giorni mi sto allenando a Foligno, il 3 luglio partirò in ritiro con il gruppo a Mezzasoma e sarò lì fino al 12. Poi dal 17 al 27 saremo a Formia e il 31 luglio si parte per Rio. Io sarò il quarto della squadra, composta da Marco Fichera, Enrico Garozzo, Paolo Pizzo e potrò sostituire tutti gli atleti in gara. Questo perché ho avuto un calo individuale nell’ultimo anno, ma la prova sostenuta agli europei mi dà la fiducia necessaria: a Rio non vado a giocare, ma a vincere una medaglia!”.
Cosa porterai di Foligno e dell’Umbria?
“Il dialetto prima di tutto! (ride Andrea, che in realtà non ha particolari inflessioni dialettali, ndr). Ma anche i paesaggi, la natura, la mia parte ‘contadina e selvaggia’, quella che mi fa stare con i piedi per terra, quella che mi fa lavorare sodo, quella che mi spinge ad andare avanti con grinta e tenacia”.
Come vedi il tuo futuro?
“Incerto, direi! Il mio futuro sportivo lo vedo roseo, ma è difficile fare previsioni perché gli ostacoli sono tantissimi, la è fatica enorme sia al livello fisico sia mentale, le rinunce moltissime. Solo se riuscirò a reggere al livello psicologico, darò il meglio di me. Per il resto, voglio continuare a studiare e vorrei laurearmi in fisioterapia, se solo l’Università di Perugia me lo permettesse!”.
In che senso, scusa?
“Ho passato il test di ingresso, ho iniziato a frequentare, a studiare e a dare esami, mentre mi allenavo naturalmente. Ma ci sono 300 ore di tirocinio obbligatorio da fare in un tempo ristrettissimo, tipo un mese e mezzo, cosa che non è compatibile con i ritmi e gli impegni di chi conduce una vita come la mia, ma anche di chi magari non è un atleta internazionale come me ma uno studente lavoratore. Ho chiesto più volte di poter fare il tirocinio spalmando le ore previste in un arco temporale più ampio, ma me l’hanno sempre negato. E così non posso laurearmi. Attraverso questa intervista, vorrei lanciare un appello all’Università di Perugia perché incontro a chi ha voglia di studiare e vuole laurearsi, ma si trova in una situazione particolare come la mia o è costretto a essere uno studente lavoratore”.
Ultima domanda: sogni nel cassetto?
“Vincere le Olimpiadi, con una laurea. Adesso penso solo a questo…”.