Assisi, il vescovo Sorrentino: “A Natale apriamo il cuore a chi non ha una casa o un lavoro”
ASSISI – “Natale significa aprire il cuore a quanti non hanno una casa, un lavoro; a quanti disperano del loro futuro”. Lo ha detto il vescovo della diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino, monsignor Domenico Sorrentino, durante la celebrazione eucaristica della notte di Natale nella cattedrale di San Rufino. Rivolgendosi ai tanti fedeli presenti, monsignor Sorrentino dopo aver spiegato il significato della parola Betlemme quale “città del pane” ha affermato che “proprio in quel piccolo borgo nei pressi di Gerusalemme è nato colui che offrendo un pezzo di pane avrebbe un giorno detto ‘prendete e mangiate, questo è il mio corpo’.
Noi siamo qui a nutrirci di quel corpo del bimbo divino. Lo facciamo – ha precisato – non per commemorare un passato lontano, ma perché di quel bimbo sentiamo la presenza e avvertiamo tutta l’attualità del suo messaggio. Attualità stringente anche dal punto di vista della cronaca. A Betlemme dove Gesù nacque, ancora oggi non c’è pace – ha sottolineato – . Eppure il nome di quel bimbo sarà consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, principe della pace. Un re che non fa guerre. Un fatto straordinario per quel tempo. Dopo duemila anni quel bimbo divino rimane un segno di contraddizione che ci intenerisce e insieme fa paura a chi non è capace di avere un cuore di bimbo. Quel bambino divino ci interroga, avanza una pretesa che mette in questione ogni nostra presunzione, ogni orgoglio intellettuale. Ci viene detto che quel bimbo è il salvatore non solo perché è un uomo di Dio, ma perché in lui Dio si fa vicino, addirittura assumendo la nostra carne. Egli è l’Emmanuele che significa ‘Dio con noi’. A Betlemme si inaugura una nuova visione di Dio e una nuova visione dell’uomo. Non più un Dio lontano, ma un Dio che sta accanto a noi e cammina con noi. Non più un Dio solitario, ma un Dio trinitario. Quel bimbo – ha aggiunto monsignor Sorrentino – viene ad includerci nella sua famiglia divina e a fare di tutti noi una sola grande famiglia. Dopo di lui nessuno avrà più diritto di dirsi nemico dell’altro. La parola fratello o sorella sarà la definizione di ogni essere umano. Non potremmo dire queste parole solo per i nostri intimi e i nostri amici senza sentire nascere dentro un senso di affetto, di premura, di custodia verso ogni essere umano di qualunque cultura, razza e religione. I pastori che si avviano alla mangiatoia di quel bimbo sono il segno di una umanità che si lascia coinvolgere in una rivoluzione di amore. Di fronte a quel bambino devono crollare i muri dell’odio, della diffidenza, della divisione, della prepotenza e dell’ingiustizia. Quel bambino ci dice che non è accettabile un mondo in cui pochi si accaparrano le risorse di tutti e molti sono lasciati in balia della miseria, della malattia e dello sfruttamento. Quel bimbo è un Dio disarmato. È finito il tempo, se mai lo è stato, del Dio degli eserciti. È cominciato il regno del principe della pace.
A Betlemme – ha aggiunto il vescovo – si inaugura anche un nuovo volto dell’uomo o piuttosto si riscopre il volto originario che il peccato ha deturpato e imbruttito. A Betlemme ci viene svelata la dignità divina di ogni essere umano, ci viene detto che l’uomo si salva e può essere felice, ma deve aprire il cuore a Dio. A Betlemme si inaugura la storia di un’umanità che riconosce come diritto fondamentale per ogni bimbo nel grembo materno e per ciascun essere umano, in qualunque età e condizione, il diritto alla vita con il conseguente dovere di ciascuno, della società, della politica di proteggere ogni vita, di custodirla e promuoverla perché sia una vita pienamente umana, dignitosa e felice”.