Coena Domini, Bassetti lava i piedi ai profughi fuggiti dalla guerra
PERUGIA – «Mentre lavavo, asciugavo e baciavo i piedini dei due bambini iracheni ho pensato a tutta la strada che queste piccole creature avevano fatto e a tutte le sofferenze che già portavano e la commozione, in questa lavanda dei piedi, è stata più forte di me». E’ il commento del cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti dopo aver compiuto la lavanda dei piedi della Coena Domini del Giovedì Santo, nella cattedrale di San Lorenzo in Perugia, ad alcuni membri di famiglie di profughi fuggiti dalla guerra, di operai in un periodo difficile per l’occupazione, soprattutto giovanile, e a quattro giovani in rappresentanza dei loro coetanei “protagonisti” del prossimo Sinodo dei vescovi. Lo stesso presule, nell’omelia, ha spiegato ai fedeli la decisione che l’ha portato a compiere il gesto della lavanda «ad alcune categorie di persone che possono rappresentare le problematiche più vive e più accese che nel contesto attuale noi stiamo vivendo».
Questa lavanda, ha detto il cardinale, «vuole essere un segno esemplare per tutta la comunità, un richiamo con il quale io chiedo al Signore che scuota davvero il cuore di ciascuno di noi e ci renda, anche attraverso le persone a cui laverò i piedi, più partecipi, più interessati alla vita dei nostri fratelli e susciti nel nostro cuore un amore più grande. Per cui le parole del Vangelo che abbiamo ascoltato – avendo amato i suoi che erano del mondo, li amò fino alla fine – diventino anche il metro e il parametro della nostra vita cristiana».
L’arcivescovo ha ricordato l’importanza del gesto della lavanda dei piedi compiuto da Gesù ai suoi discepoli, «un servizio rivolto ai più piccoli, ai più poveri, a coloro che noi riteniamo spesso, umanamente parlando, gli “scarti”, come dice papa Francesco. Lavare i piedi significa non escludere dai nostri rapporti, soprattutto dal nostro cuore, nessuna creatura umana ma farsi partecipi di tutto quello che avviene nel mondo. Al cristiano, attraverso la lavanda dei piedi, il Signore Gesù chiede una disponibilità totale al servizio e non può essere quell’uomo che sta alla finestra di casa a vedere cosa succede o cosa passa nella piazza, ma deve seguire l’esempio di Gesù, quello di quasi spogliarsi per assumere fino in fondo l’atteggiamento del servo nell’indossare il grembiule del servizio».
Riflettendo sul passo evangelico dell’Ultima Cena, il cardinale ha sottolineato che «la lavanda dei piedi avviene in un contesto tragico, in uno dei momenti più cupi della vita della primitiva comunità degli apostoli. Sono divisi fra di loro, sono in uno sconcerto totale, non hanno capito molto dell’insegnamento di Gesù e ognuno ha le proprie visioni, come spesso succede anche nella Chiesa di oggi dove, invece di conformare la propria mentalità al Vangelo, si giudica e si critica. Non è così che si costruisce la comunità, ma soltanto accogliendo il dono dello Spirito e della Parola… Non c’è amore più grande che dare la vita per le persone che si amano indipendentemente dalla condizione di quelle persone. Perciò noi non possiamo giudicare nessuno».
«Andando in carcere per celebrare la Coena Domini – ha ricordato il porporato –, vedendo tanti fratelli e tante sorelle che hanno sbagliato, io non li ho giudicati, ma gli ho lavato i piedi con tanto amore perché so che ho bisogno della misericordia di Dio come ne hanno bisogno loro. Anche Gesù se avesse giudicato non avrebbe lavato i piedi ai discepoli».
Il cardinale Bassetti ha introdotto la celebrazione del Giovedì Santo in cattedrale raccontando l’esperienza dell’incontro in carcere con numerosi detenuti e detenute, anche di fede non cristiana. «La cosa che mi ha colpito di più – ha commentato – è l’attenzione profonda di queste persone che soffrono nei confronti della sofferenza degli altri. I detenuti e le detenute hanno ricordato nelle loro preghiere e riflessioni i bambini della Siria, che sono tragicamente periti nei bombardamenti dei giorni scorsi, le guerre che sono nel mondo, i fratelli copti uccisi domenica scorsa mentre celebravano la festa delle Palme e si sono ricordati dei terremotati. Non posso non arrivare a questa conclusione: chi soffre di più personalmente, se non si chiude nella propria sofferenza, è poi la persona che è più aperta anche nei confronti della sofferenza degli altri».
A margine della celebrazione della Coena Domini, il cardinale, intrattenendosi con alcuni operatori dei media, ha commentato la notizia, appresa da loro, del bombardamento Usa in Afghanistan contro delle postazioni Isis. «Ogni giorno si accende un nuovo focolaio di guerra e stiamo vivendo, come dice papa Francesco, una “guerra a pezzi” e questo è terribile». Riflettendo sul mondo cristiano che in questi giorni si prepara a vivere il mistero della Pasqua, il porporato ricorda che «il Signore risorto, in tutte le sue apparizioni, ci dice “Pace a voi”. La pace è il più grande dono di Dio, in quanto presuppone un cuore riconciliato. Se io riconcilio il mio cuore sono riconciliato anche con chi mi sta vicino e questo sentimento di pace si diffonde come un sasso gettato in uno stagno. Per cui quando un cuore è in pace diffonde pace ed è questo che noi dobbiamo diffondere sulla terre. Dobbiamo noi cristiani essere convinti anche di questa speranza. Di fronte alle sciagure del mondo, di fronte al bombardamento di questo pomeriggio deve essere più solida la nostra speranza, in quanto non è soltanto un desiderio di pace, di bontà e di amore, ma la nostra speranza è una persona viva, che risorta dai morti porta questa pace, questa gioia e questa serenità in tutto il mondo. A noi il compito di diventare uomini di pace e di diffondere ovunque questo messaggio».