Foligno, crisi di maggioranza, reazioni e scenari possibili: il commissariamento paralizzerebbe la città

FOLIGNO – Il giorno dopo il terremoto politico che ha aperto la crisi di maggioranza e paventato lo spettro delle dimissioni del sindaco e del commissariamento del Comune, a Foligno c’è grande apprensione. Non solo al livello politico ma anche tra i cittadini, preoccupati per il futuro della città. I conflitti interni alla maggioranza sono sulla bocca di tutti, con la gente che fatica a capire come mai, se al livello amministrativo è tutto in ordine e i conti sono a posto, la giunta Mismetti non riesce ad andare avanti, ostacolata proprio da forze interne. E sono molti quelli che si chiedono che cosa accadrà in concreto se il bilancio 2015 non dovesse essere approvato o il sindaco dovesse lasciare e quali ripercussioni potrebbe avere un fatto del genere sulla vita della città.

Al livello tecnico, secondo la legge, se il bilancio comunale predisposto dalla Giunta non viene approvato dal Consiglio nei termini indicati (in questo caso il 31 luglio), l’organo regionale di controllo assegna, con lettera notificata ai singoli consiglieri, altri 20 giorni di tempo. Decorso tale periodo (20 agosto), viene nominato un apposito commissario che si sostituisce all’amministrazione inadempiente, mentre il prefetto avvia la procedura per lo scioglimento del Consiglio, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del ministero dell’Interno.

Altra ipotesi che può condurre allo scioglimento del Consiglio comunale sono le dimissioni del sindaco: Mismetti non l’ha detto esplicitamente, ma ha fatto intuire che se non si troverà una soluzione entro il 31 luglio se ne andrà sbattendo la porta, senza aspettare i venti giorni aggiuntivi perché si troverebbe senza una maggioranza con cui governare “serenamente e seriamente la città”.

Lo scioglimento del Consiglio e l’arrivo del commissario sarebbe un’ipotesi drammatica per la città, che si ritroverebbe paralizzata dal punto di vista politico e amministrativo per circa due anni, perché si tornerebbe a votare solo al primo turno elettorale utile previsto dalla legge, quindi verosimilmente con le prossime elezioni politiche. Quest’organo tecnico sarebbe, infatti, chiamato a portare avanti solo l’ordinaria amministrazione, senza poter compiere scelte di indirizzo politico e quindi con pesanti ricadute su tasse, servizi, vita sociale e culturale della città. Che ne sarebbe della programmazione prevista per lo sviluppo della città? E delle politiche sociali e degli aiuti alle fasce più deboli? E dei contributi per le associazioni culturali? E dei grandi eventi in programma nel 2016, come ad esempio il Giro d’Italia e la Tirreno-Adriatica? Probabilmente non se ne farebbe più niente, non essendo atti indispensabili.

Altro scenario possibile è che i conflitti interni alla maggioranza si ricompongano, che la minoranza del Pd smetta di fare bizze e guerriglie, che il bilancio venga approvato nei termini previsti e che il sindaco possa contare su una squadra leale, per poter amministrare “serenamente” la città nei prossimi anni. Questa ipotesi non escluderebbe un rimpasto di Giunta e qui si aprirebbero nuovi scenari ed equilibri politici.

Fin qui gli aspetti “tecnici”, poi ci sono le reazioni politiche con l’opposizione durissima con Mismetti e la maggioranza, mentre strizza l’occhio alla minoranza Pd, la cosiddetta “ala sinistra” anche se ultimamente sembra contare anche su esponenti che poco hanno a che fare con questa fazione.

In una nota congiunta – firmata da Fausto Savini del Movimento Cinque Stelle, Riccardo Meloni di Forza Italia, Elisabetta Ugolinelli e Massimiliano Romagnoli di Obiettivo Comune e Stefania Filipponi per Impegno civile – l’opposizione grida allo scandalo. “Il consiglio comunale di Foligno – scrivono – è stato fatto saltare da una parte dei consiglieri di maggioranza, pur presenti fisicamente in aula, dove sono rimasti persino dopo lo scioglimento dell’adunanza. La peggiore giunta dal dopo guerra – attaccano – ad oggi ha dato dimostrazione ancora una volta della sua incapacità a gestire il bene comune; interessi di bottega del sindaco e dei suo sodali hanno prevalso sulla buona amministrazione che avrebbe imposto, come per legge, di discutere il bilancio comunale per dare risposte concrete a famiglie e imprese in grave difficoltà. La consapevolezza di non avere i numeri e con il rischio di dover abbandonare una poltrona ben retribuita, hanno consigliato l’agevole fuga”.

Elisabetta Piccolotti, assessore a cultura e turismo nella precedente giunta Mismetti, passata all’opposizione dopo essersi candidata a sindaco per Sel contro lo stesso attuale primo cittadino e molto vicina ai cosiddetti dissidenti del Pd, non è da meno: “Lo denunciamo ormai da anni: questo sindaco e questo Pd non hanno un vero e proprio progetto di governo della città, ma si limitano da tempo a gestire gli interessi della propria maggioranza e a esternare una serie di vuoti annunci, per lo più restati lettera morta. Uno stile di governo basato sul ‘tirare a campare’ – scrive la Piccolotti – che alla lunga porta tutti i nodi al pettine. Le questioni poste apertamente da una parte della sinistra del Pd, sulle partecipate, sulla cultura, sulla montagna e lo sviluppo economico, sono problemi che esistono da anni e che il sindaco non ha mai affrontato seriamente e con coraggio. Tanti altri ce ne sono, tra cui le questioni ambientali e del centro storico, per i quali è stato riservato lo stesso atteggiamento di superficiale disinteresse e incomprensibile immobilismo: non stupisce che si sia arrivati al punto di non avere i numeri per approvare il bilancio comunale”.

Intanto ieri sera c’è stato un vertice del Partito democratico di Foligno, presente anche il segretario regionale, Giacomo Leonelli, con l’obiettivo di fare chiarezza e, possibilmente, ricomporre la frattura.

Chiacchiere a parte, ai cittadini interessano i fatti. E questo vuol dire che prima di tutto viene che il bene della città, che i folignati meritano di essere rispettati e che Foligno, realtà vivace e in pieno sviluppo, no può permettersi di cadere in un buco nero, da cui poi sarebbe molto difficile uscire, solo per alcune piccole schermaglie politiche.

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