I sindacati fanno il punto sulla situazione in Umbria e tracciano un quadro preoccupante
PERUGIA – L’Umbria sembra ancora attanagliata da una crisi che appare senza vie di uscita. È il preoccupante quadro delineato dai sindacati Cgil, Cisl e Uil che parlano di una regione che nel 2017 non solo è in cattiva salute, ma che non presenta nemmeno segni di ripresa. E le prospettive sono ancora negative. Questa condizione di recessione dalla quale si ha difficoltà ad uscire, secondo i sindacati umbri, è attribuibile alla incapacità dell’Umbria di costruire un nuovo modello di sviluppo economico che si ponesse degli obiettivi di lungo temine, cosa che le altre regioni del centro Italia sono riuscite a fare. Questo drammatico scenario è stato tracciato dai segretari generali di Cgil, Cisl e Uil dell’Umbria Vincenzo Sgalla, Ulderico Sbarra e Claudio Bendini che, si sono radunati per discutere sulle prospettive autunnali dell’Umbria. E non sono mancate le critiche rivolte alla politica che ha smesso di pesare di risolvere i problemi della gente per pensare alla ricerca continua del consenso. In un tourbillon di critiche, i sindacati fanno mea culpa affermando all’unisono che “il sindacato deve rivedere il suo modo di tutelare il lavoro ma l’emergenza nella nostra regione è tale e tanta, pari a circa 160 vertenze aperte, che ci ha impegnato su tutti i fronti”. Secondo Sgalla della Cgil, tra le cause di questa situazione di stallo economico umbro, va annoverata l’incapacità della regione di attuare delle politiche industriali nel settore manifatturiero “necessarie a costruire un progetto di lungo respiro . Si è governato in questa fase meglio possibile, facendo tentativi e tenendo lo stesso passo di una situazione normale, senza crisi. La cosa preoccupante è che le altre regioni del Centro hanno messo in campo politiche di sviluppo e stanno già vedendo frutti”. Anche Sbarra della Cisl guarda alle altre regioni affermando che questa lunga recessione è arrivata senza che noi fossimo minimamente pronti, soprattutto se facciamo il paragone con Toscana e Marche. Mentre queste altre regioni hanno fatto segnare parametri in netto miglioramento la linea dell’Umbria è costantemente declinante e se si pensa che anche l’Abruzzo ci ha superato c’è davvero da preoccuparsi e porsi delle domande. Purtroppo siamo piccoli, vecchi e isolati. Siamo una regione dove non c’è stato un marketing territoriale per favorire l’arrivo e la permanenza delle multinazionali, siamo una regione dove si amministra ma non si governa, siamo una regione dove non c’è da molti anni un dibattito politico per parlare dell’Umbria da qui a 20 anni. La produzione è in crisi e le risorse pubbliche purtroppo si gestiscono ancora per il consenso ma questo come stiamo vedendo bene non da produzione”. Bendini della Uil fa un’analisi complessa e generica abbracciando tutte le varie situazioni. “Vorrei sottolineare che questo decadimento coinvolge altri aspetti importanti come il sociale, la sanità, il welfare previdenziale e assistenziale. Se si pensa che l’Umbria è una delle regioni dove gli indici di infortuni e malattie professionali sono tra i più alti d’Italia si capisce che la nostra regione ha perso posizioni anche da questo punto di vista. Se a ciò aggiungiamo l’aumento della povertà, la questione della tutela dell’ambiente, le situazioni di dissesto finanziario dei Comuni ci si rende davvero conto che i problemi non derivano tutti dalla crisi in sé ma da una situazione che non è stata ben gestita. Ma è ancora ammissibile che una regione cosi piccola come l’Umbria abbia 16 società per la raccolta dei rifiuti e tante partecipate alias carrozzoni? E poi come la mettiamo con il paragrafo ricerca? La nostra Università non è ancora in grado di generale un gruppo dirigente all’altezza della situazione e soprattutto è troppo slegata dal mondo dell’impresa. La crisi economica non viene da sola. In generale credo che manchi da parte di tutti, ma soprattutto da parte delle istituzioni e della politica, intendendo sia maggioranza che opposizione, quel programma di lungo termine di cui si parlava all’inizio. Il Patto per lo sviluppo aveva tanti limiti ma anche molti benefici, non ultimo il confronto”. Oggi il futuro dell’Umbria deve mutare, con l’avvento dell’industria 4.0 si aprono nuove frontiere e questa partita va giocata fino in fondo. Occorre un salto di qualità culturale perché questo rappresenta un cambiamento epocale dove è proprio il modello logistico, di prodotto e di processo che si modifica. Alla luce di questo choc epocale anche l’Umbria deve adeguare il suo sistema. Sbarra poi afferma che: “Se è vero che le responsabilità sono anche nostre, è altrettanto vero che il sindacato da parte sua qualcosa ha fatto. In questi anni, oltre a seguire le crisi, abbiamo prodotto degli studi importanti e interessanti che potevano servire a costruire questo nuovo modello di sviluppo. Il vero problema è che in Umbria manca lo strumento per gestire le crisi industriali. Non si può pensare che alcuni dirigenti e funzionali possano generosamente stare dietro alle vertenze e pensare anche a tutto il resto. Noi siamo stati letteralmente risucchiati dalle crisi industriali e abbiamo cercato di difendere il lavoro a tutti i costi loro, non avendo strumenti, facevano i viaggi della speranza al Mise. C’è una questione però che vorrei sottolineare e ricordare che ci ha visto in prima fila con buoni risultati: mi riferisco alla contrattazione sociale nei Comuni che, grazie alla nostra presenza e al nostro pressing, hanno mantenuto i soldi per il welfare. In buona sostanza la partita del sociale ha retto. Quello che invece è stato un esempio di cattiva gestione dei soldi pubblici è stato l’accordo di programma dell’ex Merloni che non ha ricollocato una persona. Se la davamo m mano a un’agenzia privata sono convinto che avremmo avuto migliori risultati. Però, e concludo, quello che manca è il progetto politico per la nostra regione”. Bendini incalza che “questo cambiamento dell’industria 4.0 aprirà il campo a professionalità specifiche togliendo probabilmente lavoro a quelle più generiche. Per questo ci siamo già attivati con Confindustria per gestire al meglio questo passaggio sapendo che il nostro primo obiettivo è tutelare il lavoro. E chiude affermando che: “Siamo davvero preoccupati perché, al di la di tutto, non c’è una discussione nel merito delle questioni. E questa amministrazione ci vuoi far vedere una crisi ridimensionata. È necessario fare un salto di qualità pensando ad aumentare la produttività non solo nell’impresa ma anche nella pubblica amministrazione”.