Anno giudiziario, Procuratore Cardella: “Ndrangheta e camorra, anche l’Umbria rischia”. Sottosegretario Bocci: “Preoccupazione giusta, sbagliato sottovalutare”
PERUGIA – Inaugurazione dell’anno giudiziario della Corte d’Appello che ha paventato un rischio infiltrazioni malavitose anche per l’Umbria. Un rischio paventato negli interventi dal Procuratore generale Fausto Cardella e che ha trovato una sponda nel sottosegretario al ministero dell’Interno Gianpiero Bocci. Per l’esponente del Viminale sono condivisibili le preoccupazioni manifestate dal Procuratore Generale Fausto Cardella sui rischi infiltrazione. Soprattutto di matrice ‘ndranghetista e camorrista senza sottovalutare quelli di Cosa Nostra.
Ad aprire l’inaugurazione era stato il presidente della corte, Mario Vincenzo D’Aprile, che ha voluto rivolgere alle popolazioni dell’Umbria colpite dal terremoto e “dagli eccezionali fenomeni meteo che si sono registrati in queste zone”.
“Garantiremo in questi luoghi, laddove sarà necessario, la nostra azione con massima tempestività”, ha evidenziato, ancora, il presidente. D’Aprile è passato alla relazione che riassume l’attività della Corte d’Appello svolta nel settore civile in cui la pendenza complessiva si è ridotta da 10.691 fascicoli a 8.923 e nel settore penale, dove la pendenza è continuata a diminuire, passando da 3.832 a 3.553 procedimenti. I dati del “civile” si riferiscono all’anno giudiziario 2015-2016, quelli del “penale” al periodo 1 luglio 2015 – 30 giugno 2016.
Cardella – La situazione del distretto giudiziario di Perugia e dell’Umbria “è caratterizzata dalla presenza ed operatività di alcune proiezioni delle organizzazioni mafiose tradizionali, soprattutto di matrice ‘ndranghetista e camorrista, benché non siano da sottovalutare alcuni recenti indicatori della presenza anche di Cosa Nostra”: così il procuratore generale di Perugia, Fausto Cardella, nella sua relazione alla cerimonia di stamani di inaugurazione dell’anno giudiziario a Perugia. “Le attività d’indagine degli ultimi anni, ancora però al vaglio del giudice, indicano che le mafie tradizionali – ha spiegato Cardella – in prevalenza tendono ad insinuarsi nell’economia legale, attraverso il reinvestimento e reimpiego dei proventi delle attività criminali – spesso condotte nelle regioni di origine – in attività imprenditoriali e commerciali nei settori edile, della gestione dei rifiuti, della ristorazione, dell’intrattenimento e dei servizi, avviando le relative attività ex novo, servendosi di prestanome, e approfittando delle situazioni di crisi o di minore liquidità di cui certe imprese soffrono. Manca, invece, un vero e proprio radicamento delle consorterie criminose nel territorio; ciò dipende non soltanto dalla attenta vigilanza e dalla pronta azione delle forze di polizia, ma anche dal virtuoso comportamento dei cittadini, i quali denunciando tempestivamente ogni azione illegale, riponendo fiducia nello Stato, hanno fin qui evitato che la mala pianta mafiosa prendesse piede”.
Sul versante dello spaccio di droga, a Perugia e in Umbria “operano anche – ha detto Cardella -i sodalizi criminali di matrice etnica, talvolta in collaborazione con gli stessi sodalizi o soggetti italiani dediti al traffico di stupefacente. La diffusione della droga è sotto il controllo di organizzazioni criminali, sebbene di piccole entità, ma avviene anche attraverso soggetti di modesta levatura criminale, specie di varie nazionalità africane, che riescono a disporre di stupefacenti da spacciare al dettaglio. E’ un fenomeno criminale nazionale, mondiale direi, che ha ovviamente le sue propaggini anche nella nostra regione”. Cardella ha poi tenuto a evidenziare che “in passato la città di Perugia sembrava essere divenuta meta preferita di assuntori domiciliati in province e regioni limitrofe. Un contributo concretamente destabilizzante e tale da favorire l’insediamento in Perugia di soggetti dediti al traffico di stupefacenti e in genere della microcriminalità fu determinato probabilmente dal sistema degli affitti e dallo sviluppo urbanistico a questo finalizzato. L’attività di contrasto, costantemente esperita dalle forze dell’ordine, che continuano ad esser guidate da dirigenti e ufficiali di altissimo livello professionale, ha consentito di arginare in parte il fenomeno; i relativi dati, negli ultimi due anni, evidenziano un andamento negativo, con la diminuzione sia degli arresti che delle denunce, sia, soprattutto, delle morti per overdose per i quali siamo passati, nella provincia di Perugia, dai 23 nel 2011 ai 9 nel 2016. Gli spacciatori, prima molto presenti anche nel centro storico di Perugia, oggi grazie anche ad interventi repressivi coordinati e mirati, si trovano in zone e quartieri meno esposti; in queste zone, oltre al traffico ed allo spaccio dello stupefacente, è maggiore l’incidenza di tutti gli altri reati ad esso collegati, giacché lo spaccio ed il relativo consumo di stupefacente alimenta l’indotto della microcriminalità. Questa microcriminalità, pur se estremamente fastidiosa per la cittadinanza, tuttavia – ha concluso Cardella – rimane entro limiti tali da non pregiudicare l’ottimo livello di sicurezza e di vivibilità della città”.
Quindi sul pensionamento dei magistrati: “Non sono contrario al pensionamento dei magistrati a 70 anni, tutt’altro, ma il modo ancor m’offende”. Per Cardella, “non è giusto né ragionevole lasciare nell’ incertezza fino quasi al giorno prima, perché non è solo una questione di rispetto per le persone che intraprendono questa carriera e che avrebbero il diritto di poter programmare il loro futuro, tanto più quando si avviano a concludere la loro vita professionale: è anche un problema di efficienza dell’apparato giudiziario. Nessun serio programma di ripianamento degli organici può essere predisposto – e difatti non c’è – con la costante incertezza della durata della attività lavorativa. Non si pensi che questa fisarmonica dell’età pensionabile per i magistrati sia cosa di oggi, è una pessima abitudine che risale agli anni Novanta: decidetevi – ha concluso Cardella – una volta per tutte”. Sulla separazione delle carriere: “Il ministro della Giustizia ha pubblicamente dichiarato la sua contrarietà alla separazione delle carriere in magistratura, cosa che da un ventennio assilla e turba la tranquillità dei magistrati della mia generazione, perché misura in grado di stravolgere l’assetto costituzionale della magistratura e prodromica alla perdita di indipendenza del Pm prima, e subito dopo del giudice. Sorprende e dispiace che questa epocale, tranciante presa di posizione del ministro, che andava accolta con gioia e con sollievo, sia invece calata nell’indifferenza della stessa magistratura e di quanti dicono di aver a cuore la sua autonomia e indipendenza”.