Mercato dell’acciaio, doccia fredda per l’Ast, ripartenza per Piombino e Taranto
TERNI – Non c’è davvero pace in questa lunga estate per l’Ast. Mentre sembra che la stagione dell’acciaio italiano sia destinata a ripartire, i tedeschi della Thyssen confermano che non terranno lo stabilimento di Terni. Una ulteriore beffa per un polo industriale che si colloca tra i primi produttori mondiali di piani inossidabili e magnetici. Se da Piombino e da Taranto arrivano notizie incoraggianti per gli stabilimenti locali, da Francoforte si fa sentire la voce del direttore finanziario della Tk, Guido Kerkhoff che conferma la volontà di cedere Terni e la divisione di produzione di leghe di metalli speciali Vdm. “In un periodo medio lungo – ha detto Kerkhoff – non pensiamo che resteranno nel portafoglio di ThyssenKrupp”. Se per Vdm pare che la Thyssen abbia dato mandato alla Deutsche Bank di gestire la cessione, per l’Ast di Terni la tempistica appare più lenta. L’obiettivo, come è stato denunciato più volte in queste settimane anche dai sindacati, è di alleggerire l’azienda, di sistemare i conti e piazzarla sul mercato a un presso superiore rispetto a quello che sarebbero disposti a pagare ora eventuali compratori. I due anni ipotizzati per portare a termine l’operazione sono giudicati troppo lunghi dai sindacati che spingono per una vendita più veloce per non “speculare sugli operai e sull’economia della città”.
Attualmente l’Ast viene valutata sui 600 milioni di euro ma l’ultimo compratore interessato all’acquisto, Aperam, qualche mese fa aveva offerto solo 150 milioni. Mentre a Terni si gioca questa partita, Piombino potrebbe iniziare presto la risalita. A breve, infatti, dovrebbe essere firmato l’accordo per il passaggio dello stabilimento toscano, ex Lucchini e poi Severstal, al gruppo indiano Jindal. Un accordo che potrebbe essere un buon segnale anche per Taranto dove proprio in questi giorni verranno pagati gli stipendi, le tredicesime e il premio di produzione in attesa che a fine mese le banche sblocchino il prestito ponte di 250-300 milioni di euro che consentirebbe la ripresa dell’attività. L’arrivo in Italia di Jindal potrebbe sbloccare la trattativa per la cessione dello stabilimento di Taranto al rivale del magnate indiano, il colosso franco-indiano Arcelor-Mittal, cui si sono accodati Marcegaglia e Arvedi. Se ne dovrebbe riparlare dopo le ferie.
Gli imprenditori italiani superstiti per ora sono concentrati su qualche asse minore del gruppo Lucchini: Arvedi ha firmato il preliminare per l’acquisto dell’acciaieria di Trieste, Duferco e Feralpi hanno presentato una proposta per rilevare il laminatorio di Lecco.
La siderurgia italiana, comunque, ha bisogno di una spinta, un’azione di rilancio, per esportare anche al di fuori dell’Europa. La crisi infatti comincia a pesare sul dato complessivo dell’export italiano: -2% nel primo trimestre 2014 sulle vendite al di fuori dell’Unione europea. L’Italia, che rimane comunque il secondo produttore d’Europa, lo scorso anno ha perso l’11% della produzione globale fermandosi a 24 milioni di tonnellate prodotte, mentre continua a guadagnare terreno la concorrenza degli altri paesi europei e dei turchi.