Operazione Earthquake, pressioni e minacce per ottenere le tangenti. Così sono finiti ai domiciliari Piccotti, Roscini e Riccardini

PERUGIA – Associazione per delinquere, corruzione, concussione, turbativa d’asta, falso in atto pubblico e induzione indebita a dare o promettere. Tutte situazioni all’interno del terremoto dell’Aquila. Sono questi i capi d’accusa per i quali sono finiti ai domiciliari Giampiero Piccotti, ex colonnello dell’esercito, Stefano Roscini, imprenditore assisano con la passione per l’editoria e Angelo Riccardini, tecnico eugubino ed ex consigliere comunale. Oltre ai tre umbri anche quattro abruzzesi: Angelo Melchiorri, Antonio D’Angelo, Emilio Di Carlo e Marino Scancella.

La cupola del sistema era a Perugia attraverso il consorzio Gescom, un organo attraverso cui gestire la ricostruzione degli aggregati edilizi di Bussi sul Tirino attraverso tangenti sulle ditte che si consorziavano. Chi voleva entrare negli appalti doveva consorziarsi e pagare dal 17 al 20 per cento del valore delle commesse, soldi utili a pagare i pubblici ufficiali che andavano a caccia di commesse. A far partire le indagini un imprenditore umbro che aveva denunciato la richiesta della tangente dopo la vittoria degli appalti. Il dirigente dell’ufficio tecnico della ricostruzione 5 era il garante del sodalizio e per sé aveva ottenuto diversi benefit, a partire dall’assunzione della figlia.

“L’avevo presentati al Colonnello, gli ho fatto prendere…dei lavori per laggiù! Eee..so stati oggetto de pressione, l’hanno praticamente ricattati perché gli hanno chiesto i soldi, gli hanno chiesto di pagare dei soldi non dovuti e questi si so spaventati”. Angelo Riccardini, tecnico eugubino, svela al figlio al telefono come funzionava il “Piano Abruzzo”. “Io sti episodi laggiù di pressioni sui soldi ne ero a conoscenza manon so mai stato testimone diretto! Nel senso che alcune imprese ho fatto figure di merda perché avevo portato giù, che ne so, i Corinzi a fa il lavoro”. Il vero capo dell’organizzazione era l’ex colonnello Piccotti che al telefono ha spiegato: “Sabato mattina facciamo l’accordo globale…così abbiamo chiuso anche questa vicenda, è stata la più difficile della mia vita, organizzare…e guarda organizzare tante persone…e poi alla fine, alla fine quando si sono decisi a fare come dicevo io le cose si aggiustano“.

Nel racconto di chi ha parlato le impressioni che le somme versate dovessero finire nelle tasche di qualcuno, per oliare il sistema. Al consorzio non doveva finire tutto il 20 per cento per la mediazione e la progettazione. Almeno il 12 doveva finire “sul territorio”. Ci furono poi minacce dal direttore dei lavori. Pronti a chiarire e a negare tutto i tre indagati.

 

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