Sisma, vescovo di Rieti a Spoleto: “No speculazioni su ricostruzione”
SPOLETO – «Appena giunto ad Amatrice (il 24 agosto 2016, ndr) la prima persona che ho incontrato è stata Valerio. Da circa un mese faceva il fornaio in questa comunità, dove si era trasferito con la moglie e i suoi due figli. Non lo conoscevo. Mi si accosta. Lo abbraccio. Cento metri e dietro un angolo scorgo dei sacchi con dentro delle persone morte. Valerio mi si avvicina e mi dice: “Questa è mia moglie e questo mio figlio e la piccolina”. Non ho detto nulla. Mi sono abbracciato Valerio e abbiamo pianto. La solidarietà che sprigiona il terremoto sta in questo azzeramento delle distanze e dei pregiudizi. Pensavo a che cosa avrei dovuto fare o dire, ma le persone e le situazioni ti vengono incontro. E basta non ritrarsi che t’investono. La solidarietà nasce così, semplicemente. Basta non distrarsi»: con questo triste ricordo è iniziata la meditazione che mons. Domenico Pompili, vescovo di Rieti, ha tenuto la sera di giovedì 12 gennaio nella palestra dell’Oratorio del Sacro Cuore in Spoleto nell’ultimo appuntamento del triduo in onore di S. Ponziano, patrono della Città e dell’intera archidiocesi di Spoleto-Norcia, protettore dai terremoti.
Nella diocesi di Rieti il terremoto del 24 agosto ha causato la morte di 299 persone. «A noi Vescovi, preti e fedeli laici dinanzi a catastrofi come il terremoto – ha proseguito mons. Pompili – ci spetta il compito di consolare, di essere accanto e ascoltare, di offrire una spalla su cui piangere. L’essere Chiesa ci chiama a farci vicini, ad accompagnare il processo di elaborazione di quanto accaduto: perdita delle persone care, della casa, delle chiese, dei paesi, dell’identità. Nella realtà terribile del terremoto c’è da riscoprire quella che è la nostra condizione di uomini e di donne, segnati dalla fragilità e dall’imprevisto di quello che non avresti mai immaginato. Dai grandi colpi della vita s’impara sempre qualcosa di utile: ci costringono ad andare oltre la superficialità che spesso ci caratterizza. Il sisma ci ha fatto riflettere sull’urgenza di tornare a riconoscere che dell’altro abbiamo bisogno, che siamo “interdipendenti”. Ce lo ricorda il nostro ombelico: una cicatrice che ci ricorda in ogni istante che non vengono prima gli individui e poi le relazioni, ma che ciascuno di noi è il prodotto di relazioni».
Un passaggio significativo il vescovo di Rieti ha dedicato alla politica e alle promesse fatte: «Perché la politica sia la forma più alta di carità – ha detto – è necessario che le nostre mani non restino inerti o nostalgiche. Ci vuole l’energia e la voglia di ricostruire insieme. Soltanto così il soffio vitale che c’è in ognuno di noi tornerà a far risplendere il sole. Ciò che conta è riscoprire la solidarietà non come l’emozione di un momento, ma come un impegno anche strutturale che metta mano a quelle priorità che per troppo tempo sono state sottaciute da chi aveva la responsabilità di far uscire dal loro isolamento alcuni territori come quelli devastati dal terremoto.
Occorre una gestione accorta per evitare infiltrazioni e speculazioni. Sono necessarie una serie di attenzioni che privilegino la ripresa dell’economia per territori come i miei – e come la vostra Valnerina – già segnati dallo spopolamento. Per invertire la tendenza è necessario uno studio attento di quello che è il nostro territorio per rigenerarlo, pena la sua dissoluzione».