Assisi, anche il Serafico partecipa all’intitolazione del Santuario della Spoliazione
ASSISI – Anche il Serafico di Assisi ha partecipato all’inaugurazione del Santuario della Spogliazione ad Assisi: nel pomeriggio di domenica, la presidente del Serafico Francesca Di Maolo ha presentato le attività dell’Istituto, una delle opere segno della Diocesi, e i ragazzi del Serafico hanno partecipato alla processione che dalla Basilica di Santa Chiara è partita con la prima reliquia di San Francesco, un frammento del mantello del vescovo Guido, per raggiungere il Santuario.
“L’Istituto – ha ricordato la presidente Francesca Di Maolo – si prende cura di bambini e ragazzi con disabilità plurima provenienti da tutto il territorio nazionale. È stato fondato da un frate francescano, san Ludovico da Casoria, il 17 settembre 1871, giorno memorabile in cui San Francesco ricevette le sacre stimmate, quelle stesse che nel pensiero del beato Ludovico si sarebbero prolungate fino a toccare gli ospiti del Serafico. È un centro sanitario che si occupa di cura, diagnosi, riabilitazione di disabili gravissimi, ma descriverlo solo in questi termini è riduttivo. Al Serafico, da 145 anni, la nostra missione è quella di portare ogni ragazzo a vivere una vita piena, a scoprire il mondo”.
Di Maolo ha ricordato le parole di Papa Francesco, che il 4 ottobre 2013, incontrando e abbracciando uno ad uno i nostri ragazzi mi diceva “sono commosso”, e che ha iniziato il suo discorso con “Noi siamo tra le piaghe di Gesù (…) Queste piaghe hanno bisogno di essere ascoltate”. “Il nostro – ha aggiunto Di Maolo – non è un luogo di sofferenza e di dolore. Certo, le prove sono tante, ma i nostri piccoli non si rassegnano mai e le affrontano con coraggio. Ogni autonomia conquistata è un nuovo inno alla vita. Loro sono prigionieri in un corpo a volte pieno di limiti, ma liberi nel cuore e ci insegnano ad amare ogni giorno. Ogni giorno al Serafico ci prendiamo cura di più di 130 tra bambini e ragazzi. E’ così poco… Abbiamo una lunga lista di attesa di disperati che vorrebbero entrare nella nostra famiglia. Sono i figli per i quali abbiamo più pena. Ho fiducia e speranza che questo luogo, questo Santuario, possa nutrire l’anima di tante persone. Ho fiducia che domani saremo meno soli nel nostro servizio, perché ognuno di noi è custode della vita, uno dell’altro: nessuno è arbitro proprietario della vita, ma custode appassionato”.