Gualdo Tadino, Sgarbi presenta “Il tesoro d’Italia III”

GUALDO TADINO – Prosegue il cammino di Vittorio Sgarbi nelle meraviglie dell’arte antica con il terzo volume de ‘Il Tesoro d’Italia’, un progetto avviato nel 2013 e che prevede altri due titoli in uscita. L’appuntamento è per giovedì 26 novembre alle 18 nella chiesa monumentale di San Francesco. Un excursus che questa volta comprende il periodo breve e cruciale che va dai capolavori di Michelangelo, il fiorire quindi della Maniera e approda al vero di Caravaggio, dal ‘cielo alla terra’, appunto, come recita il titolo, senza fermarsi (come è nello stile dell’autore) ai maestri più celebrati, bensì proponendo l’opera spesso eccelsa e universale dei meno conosciuti.

“Artisti come Bastianino, Bartolomeo Passerotti, Altobello Melone, il Pordenone non sono pittori minori, sono soltanto poco noti”, dice Vittorio Sgarbi ricordando che lo stesso Caravaggio per secoli è rientrato in questa categoria. Lo si è riscoperto, spiega il critico, solo quando Roberto Longhi, studiando la pittura del vero in Mattia Preti (altrettanto sconosciuto) si è imbattuto nell’arte sublime del Merisi (modello dichiarato del Cavaliere Calabrese), recuperata definitivamente dopo alcuni decenni, nel 1950. Quindi, nella sua avventura dell’arte italiana, Sgarbi non dimentica nessuno di quelli che hanno contribuito allo splendore del ‘500 e del ‘600, documentando le sue scelte con opportune e bellissime illustrazioni. Certo, il punto di partenza è il Buonarroti, che per la prima volta inventa il ‘non finito’ quale risultato palpitante di vita. Per Michelangelo, sottolinea il critico, nel marmo esisteva un’anima con una forma, “e lui lavorava per togliere via la materia in eccedenza”. Quando trovava questa perfezione della bellezza, insita nella pietra, si fermava, ecco dunque che i Prigioni o la ‘Pietà Rondanini’ sono capolavori espressi nella loro completezza pur non avendo un aspetto levigato (“Canova è troppo finito”). Il ‘non finito’ di Michelangelo è dunque “vita che palpita”, suprema espressione di un maestro assoluto che ha saputo essere ai massimi livelli pittore, scultore, architetto e poeta. A lui guarda il ‘500 maturo, gli artisti che in Toscana o in Veneto danno vita alla Maniera, mentre si consuma la straordinaria lezione di Tiziano, anche lui ‘non finito’ negli ultimi dipinti. “Non si tratta di opere incompiute, sono informali”, dice Sgarbi mentre trova un filo rosso che collega le opere del Pordenone a quelle di Burri, dal momento che il pittore cinquecentesco lasciava ampi tratti di tela grezza a raffigurare le rocce scoscese nello sfondo. Prima però di arrivare al ‘900, questa tendenza della cosiddetta ‘tela risparmiata’ (usata anche dal Merisi nel ‘Seppellimento di Santa Lucia’) è uno degli elementi che denunciano un progressivo volgersi dell’arte dalla perfezione rinascimentale alla ricerca di una nuova realtà, sia nelle tecniche espressive sia, soprattutto nei temi.

“Da Michelangelo a Caravaggio. Dal ‘Giudizio universale’ a ‘I bari’ – scrive Sgarbi – In pochi anni il mondo di tutte le perfezioni possibili si rovescia in un gruppo di giocatori, sporchi e ubriachi, all’osteria. La pittura della realtà, dunque. La fine di un modello ideale per poter, infine, puntare l’unico obiettivo degno del nostro sguardo: il vero. Non esercizi astratti sulle forme, ma il confronto con una realtà, anche cruda, che attende di essere fedelmente riprodotta, e che una mente aperta la veda nitidamente e la stampi con assoluta evidenza”. In un quadro come ‘La buona ventura’, conclude il critico, “sembra che Caravaggio dipinga i Casamonica, non c’è più nessuna simbologia sulla tela, né teatro né idealizzazione, solo presa diretta della realtà. La terra è il suo vero cielo”.

Un pensiero riguardo “Gualdo Tadino, Sgarbi presenta “Il tesoro d’Italia III”

  • Nov 9, 2015 in 21:35
    Permalink

    Grande critico d’arte Vittorio Sgarbi. Grazie per queste informazioni

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.