Natale, il vescovo Sorrentino: “Rivive il mistero della spoliazione”

ASSISI –  «Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo».Sono le parole che stanno alla base dei nostri presepi. Quelle che incantavano san Francesco”. Sono state le parole del vescovo Domenico Sorrentino nella sua omelia di Natale. “Sono le parole della nostra fede.Chi è infatti quel figlio primogenito? È  il figlio di Dio e di Maria. Un mistero di incontro che si realizza nel grembo di una donna, mistero che ha i tratti della nostra umanità, ha persino gli odori di una greppia, ma ha insieme i colori del cielo.  Ed è questo che fa la differenza. Un bimbo che nasce è sempre una cosa bella. Solo una cultura indurita dall’egoismo può non amare i bambini e non desiderare i bambini. Il cosiddetto “inverno demografico”, che vede anche la nostra Italia sempre meno aperta alla vita, se non viene corretto da una inversione di rotta, ci porterà alla tristezza e alla rovina. Il bambino è speranza, è futuro, è gioia”.

“Se questo vale per ogni bambino – ha detto Sorrentino – quanto più per il Bimbo divino di Betlemme. È proprio da lui che scaturisce ogni vita. Egli è la vita. Il Natale, prima di essere l’evento storico di Betlemme, è un evento del cuore di Dio. Quel Bimbo che ora comincia a piangere, e presto dirà papà e mamma, è colui che da sempre, nella  sua vita divina, ha chiamato Dio – Padre col nome dolce di Abbà, cioè “papà”. Ed è venuto tra di noi per porre sulle nostre labbra lo stesso nome, perché Dio non sia più sentito come un Dio lontano,   ma il Dio con noi, l’Emmanuele. Con il mistero di Betlemme la storia fa un salto di qualità. Fino alla nascita di Betlemme il mondo e la storia erano certo abitati da Dio, ma Dio non si vedeva Ora egli mette la sua tenda in mezzo a noi. Si fa volto, cuore, carne. Un Dio che sorride e che piange, un Dio che ama con cuore umano”.

“Non finiremo mai di contemplare questo mistero. Di tale mistero, in questa notte santa, vorrei mettere in evidenza un aspetto che, alla scuola di Francesco di Assisi, merita una particolare attenzione.  A Natale  Dio si “spoglia”. È un Dio che nasce nudo come ogni bambino del mondo.  Nasconde la sua gloria. Contrae la sua immensità nella misura di una cellula, poi di un grumo di cellule di un corpicino nel grembo materno, infine nella misura di un bambino appena messo alla luce. Naturalmente la sua onnipotenza è tutta lì. In quel corpicino. E guai se non fosse così: sarebbe uno  tra i tanti, e non potrebbe essere il nostro Salvatore. Ma egli preferisce mostrarsi nei tratti della semplicità, della sobrietà, quasi dell’impotenza. Ha bisogno di tutto.  Non viene a noi tra gli agi di un palazzo regale. Si fa emulo dei bambini più poveri del mondo, quelli che non hanno nulla, quelli che, come i bimbi dei nostri immigrati, si pongono nudi di fronte a un futuro incerto, spesso incontrando le resistenze di una cultura non accogliente, e talvolta onde che li travolgono. Il Bimbo divino sceglie di nascere in una mangiatoia.  Quale spogliazione! San Paolo, nella lettera ai Filippesi, ne parla in termini di “svuotamento”. Dice che Dio, nel suo Figlio, si è “svuotato”, assumendo la condizione di servo, e divenendo simile a noi.  E questo fino al culmine di una morte ignominiosa come quella della croce.   Mistero grande, che ci dà un’idea nuova di Dio. Un mistero che rivoluziona i criteri del mondo: dopo Gesù, se si vuole contribuire ad una umanità ispirata alla pace e alla fraternità, non è possibile scegliere altra strada che quella dell’amore crocifisso”.

“Questo mistero affascinò il nostro Francesco. Fu per questo che anch’egli volle spogliarsi di tutto.  Aveva passato venticinque anni tra le ricchezze paterne a rincorrere sogni di gloria. Preferì cambiare rotta e sposare la povertà.  Il giorno in cui, nel vescovado di Assisi, davanti al vescovo Guido, si spogliò di tutto fino a denudarsi, apparve chiara la sua conformazione a Cristo crocifisso.  Il Natale è mistero di spogliazione. Francesco fece suo questo mistero. Papa Francesco, nella visita che ci fece tre anni fa, venne al vescovado proprio per spiegarci il senso di quel gesto. Lo fece con parole toccanti, direi shoccanti, mostrandoci come la “spogliazione” è una modalità di essere, che ogni cristiano deve far sua. Si tratta infatti di spogliarci del nostro egoismo, di sottrarci a quella mondanità che produce il mondo ingiusto che sta sotto i nostri occhi, in cui pochi hanno tutto e di più, e tantissimi  mancano del necessario. Chi vuol essere discepolo di Cristo, chi vuol contemplare fino in fondo il Bimbo di Betlemme, deve imparare a spogliarsi di sé e ad aprirsi agli altri, condividere ciò che ha, perché nel mondo ci sia uno spazio dignitoso per tutti. È ora di una maggiore sobrietà dei nostri stili di vita. È ora di una maggiore fraternità. Pertanto, proprio in questo Natale, ho voluto dare alla nostra Città, già ricca di centri spirituali, un nuovo Santuario, incentrato nella Chiesa di Santa Maria Maggiore, l’antica cattedrale di Assisi, legata al vescovado. Essa sarà d’ora in poi il Santuario della Spogliazione. Un Santuario che ricordi quel gesto di Francesco, ma soprattutto che aiuti tutti, fedeli della diocesi e pellegrini, a fare i conti con il vangelo del Natale in modo serio, misurandosi con i criteri dell’amore di Dio e dell’amore dei fratelli. Se viviamo il Natale così, si realizzerà per noi anche quello che il vangelo appena proclamato racconta e promette: un’esplosione di gioia e di pace. Una risposta vera a questo mondo di violenza e di guerra.   Rileggiamo ancora le parole che ci ha detto il profeta Isaia: «Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia… poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio…, il principe della pace».  Auguri a tutti, cari fratelli e sorelle! Gli occhi di questo Bambino, i suoi vagiti, il suo sorriso, ci facciano guardare la vita in modo nuovo, con gli occhi innocenti dei piccoli. Ci infondano una speranza non illusoria. Ci facciano guardare al futuro con serenità e senso di responsabilità. Buon Natale!”

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