Rinascono le sorgenti termali dei “Bagni di Triponzo”
In un’Umbria così ricca di stabilimenti termali tra 20 giorni riapriranno le Terme di Triponzo. Ritornano fruibili le sorgenti termali dei “Bagni di Triponzo” che si estendono su un’area di circa 50 mila metri quadrati, interamente immersi nel verde bosco umbro. In questo luogo, raccolte in una lunga vasca, sgorgano 18 sorgenti di acqua termale solfurea dal colore verde smeraldo, alla temperatura di circa 31°. Grazie alle riconosciute qualità terapeutiche, le Terme sono utilizzate fin dall’epoca romana.
Con l’attivazione del complesso Termale di Triponzo si assiste alla rinascita dei Bagni Termali e dell’area circostante, come “parco termale e del benessere”, con grande attesa da parte degli operatori del settore turistico che puntano su questo stabilimento come volano per un nuovo e vitale sviluppo socio-economico del territorio della Valnerina.
Il centro che aprirà le porte tra 20 giorni è grande circa 1700 metri quadri coperti, con 4 vasche termali ed una grande area ipogea che unisce la cultura romana e araba per il circuito del benessere.
L’acqua termale Gli antichi romani eressero i “Bagni di Triponzo” proprio per beneficiare del valore terapeutico delle acque sorgive solfuree. Oggi si utilizzano le stesse acque, ricche di zolfo e di altri elementi tra cui il magnesio. L’attività e l’uso dei “Bagni” si perde nella notte dei tempi e le proprietà delle acque termali che li alimentano hanno sicuramente contribuito allo sviluppo socio-culturale della Valnerina.
I Bagni di Triponzo nella storia Noti fin dall’epoca romana – la menzione più famosa è quella di Virgilio “amnis sulfurea Nar albus acqua”, nel VII libro dell’Eneide, versi 516-517 – vengono ricordati anche in un documento del 488, quando, già funzionanti, passarono al comune di Norcia per 151 fiorini d’oro e quindi a Pasquale Forti e al vescovo di Norcia Bucchi-Accica che le donò al Comune di Cerreto.
L’attività e l’uso dei “Bagni” per le proprietà delle acque termali che li alimentano hanno sicuramente contribuito allo sviluppo socio-culturale della Valnerina. Legata sicuramente alla presenza di queste acque deve essere stata la Scuola Chirurgica Preciana, che fiorì in Val Castoriana dalla fine del Medioevo, attorno al centro culturale e religioso dell’abbazia benedettina di S. Eutizio, che divenne un’importante centro di chirurgia. La sua caratteristica distintiva fu quella di essere una scuola empirica, ovvero non sviluppatasi nell’ambito di un’università ma a partire da osservazioni di tipo empirico, mediante esperienze tramandatesi di padre in figlio fino a costituire nel tempo vere e proprie dinastie di “chirurghi” che raggiunsero l’apice della propria fama nel Cinquecento. In questa epoca vengono citati in cronache e notizie riferite a famiglie di regnanti, non solo italiane ma anche europee. Furono noti per la particolare conoscenza chirurgica di patologie dell’occhio (la cataratta) e di quelle urologiche oltre per la cura di varie malattie per mezzo delle acque termali sulfuree di Triponzo.
Nel 1862 venne eseguita sulle acque termali un’analisi chimica dal prof. Purgotti di Perugia che classificò le acque come “eroico rimedio” per affezioni intestinali, concrezioni urinarie, artriti e “per tutte le sordide malattie della pelle”.
Al fine di sfruttare la risorsa idrotermale, nel 1887 fu costruito un complesso termale caratterizzato da un lungo edificio con portico ma, dopo un periodo di relativo minor uso, tentativi di rilancio delle terme furono bloccati dalla realizzazione degli impianti idroelettrici della Valnerina, condotti dalla Società Terni nel 1931 e poi ultimati in seguito alla costruzione di una condotta a monte dei “Bagni” negli anni ‘40 del Novecento. In occasione della costruzione di un canale di adduzione sotterraneo, alle pendici di monte Fergino, costruito per convogliare le acque del fiume Nera dalla centrale di Triponzo al lago di Piediluco (Canale derivatore medio Nera), si intercettò una cavità carsica con acqua sulfurea con l’effetto di ridurre drasticamente la portata delle sorgenti presso i “Bagni”.
La tradizione popolare narra che durante le fasi di scavo del canale all’interno della montagna i detriti prodotti venissero tradotti all’esterno. Tuttavia durante queste lavorazioni ipogee, proprio in corrispondenza del Complesso ottocentesco delle Terme, all’interno del colle di Fergino venne rinvenuto un lago colmo di acqua solfurea. Questa scoperta venne celata e si pensò di utilizzare questa cavità carsica come discarica per i detriti. La sciagurata decisione, visto che a quei tempi la coscienza ambientale era poco sviluppata, comportò, da un lato un notevole risparmio dei costi di lavorazione ma dall’altro si venne a creare il presupposto per uno squilibrio idrogeologico che compromise la libera circolazione delle acque termali, il lago venne suddiviso in due parti e successivamente si assistette ad una drastica riduzione della risorsa Termale che scaturiva naturalmente presso i “Bagni”.
Ciò nonostante le terme continuarono ad essere frequentate, anche se in modo limitato, ma dal 1970 si è registrato un progressivo abbandono, aggravato dal terremoto del 1979. Nel 1985, per recuperare la risorsa termale, il Comune di Cerreto di Spoleto intraprese una campagna di ristrutturazione del complesso e avviò un progetto di recupero delle Terme di Triponzo affidato alla RPA, che proseguì in varie fasi con la realizzazione di nuove opere edilizie e di un pozzo per captare l’acqua termale andata perduta. Il terremoto del 26 settembre 1997 arrivò come una scure interrompendo nuovamente il cantiere ed i progetti di recupero. Il complesso termale cadde di nuovo nell’oblio per oltre 10 anni, fino a quando, sempre il Comune di Cerreto cercò di affidarne il completamento e la relativa gestione mediante bandi di Project Financing andati sempre deserti.
di Emmeelle